venerdì 16 gennaio 2004

 IL LIBRO

 Il duce parla ancora dai muri del Friuli



Con un nome così, occuparsi di storia e del Ventennio in particolare, era pressochè un destino obbligato. Gianni Adolfo Bellinetti, classe 1942, all'anagrafe è registrato Adolfo Gianni Gianni, e deve il comunissimo secondo nome (proprio come il gemello Felicino, in realtà battezzato Benito Felicino), a una lungimirante prudenza delle donne della famiglia, che colsero nell'aria i primi sintomi della disfatta del regime e pensarono di dare ai neonati un secondo nome decisamente meno
compromettente.
Comincia dunque con una breve digressione personale, la curiosa avventura di questo docente di lettere di San Giorgio di Nogaro, appassionato di storia locale, che ha gironzolato per tutta la regione, letteralmente con il naso all'insù, alla ricerca di alcune, particolari, testimonianze del fascismo. Tutto prende le mosse dal caso di Palmanova, dove un paio di anni fa scoppiò una polemica rovente per il restauro della scritta «Credere, obbedire, combattere» nel cortile interno della scuola elementare Dante. Ma quanti di questi celebri «slogan», su cui il fascismo, soprattutto nella prima fase, costruì la sua immagine e la sua forza persuasiva, ancora resistono sulle facciate di edifici pubblici e case private della regione?
Nasce da questa ricerca «Governare per slogan - Scritte fasciste sulle strade del Friuli» (pagg. 140, euro 13, Editreg di Trieste), il volumetto in cui Bellinetti ha cominciato a raccogliere e documentare fotograficamente frasi, massime, slogan mussoliniani ancora, almeno in parte, leggibili.






Quest'operazione ha un precedente, «I muri del Duce» di Ariberto Segala, per venticinque anni inviato di Epoca, autore di un'identica indagine in Piemonte, nel corso della quale ha ritrovato ben 112 testimonianze seguendo il percorso della visita fatta da Mussolini in provincia di Vercelli nel maggio 1939.

Bellinetti, da parte sua, non solo ha catalogato le scritte, ma le ha anche ricostruite al computer laddove erano rovinate o illeggibili: un impegno certosino che, dopo l'uscita del volume, si sta giorno per giorno arricchendo di nuove «scoperte», segnalate all'autore dagli stessi lettori. Nel libro, oltre allo slogan, viene documentata la «fonte», discorsi pronunciati dal Duce o messaggi indirizzati a particolari categorie sociali. Il motto pubblico, da immortalare a imperitura memoria, non nasce in modo fulmineo. All'inizio i discorsi di Mussolini venivano letti solo nelle sedi del Partito e delle varie organizzazioni fasciste. In un secondo momento era la segreteria del Pnf a scegliere le frasi ritenute più efficaci e a invitare i segretari federali a esporle nelle sale e nelle bacheche. La «slogan-mania» esplose nel 1936, quando segretario del partito era Achille Starace. Fu allora che ogni superficie disponibile venne tappezzata di parole, sia nei centri urbani che nei paesi più sperduti, spesso accettate dai privati dietro pagamento di un contributo in denaro, che variava dalle trenta alle cento lire.
In Friuli, a dispetto delle trasformazioni urbanistiche e della distruzione del terremoto del '76, gli slogan mussoliniani sono ancora tanti e resistono, seppure in condizioni di conservazione piuttosto precarie. Bellinetti ha scoperto gustose curiosità, come il caso di Sutrio, dove si leggono ancora ben quattro scritte, nonostante il paese carnico sia fuori dalle strade di passaggio, solitamente preferite per la veicolazione dei messaggi di maggiore impatto. All'ingresso del piccolo centro troviano lo slogan «Anche con l'opera quotidiana minuta ed oscura si fa grande la patria», pronunciata a Vercelli il 28 settembre '25, dove il Duce era arrivato dopo aver assistito alle grandi manovre dell'esercito nel Canavese; più in su, verso il centro, sulla casa Del Moro-Selenati, «Camminare, costruire e, se necessario, combattere e vincere», frase pronunciata il 23 ottobre '32 a Torino e definita da
Mussolini «la parola d'ordine per il nuovo decennio»; ancora in centro, «Ricordare e prepararsi», del '37, primo anniversario della fondazione dei Fasci, e, infine, «Coloro che io preferisco sono quelli che lavorano duro secco sodo in obbedienza e possibilmente in silenzio».

Originale anche il caso di Clauiano di Trivignano, via San Marco, dove all'esterno di una casa colonica si trovano ben due scritte sovrapposte, «Riscattare la terra e con la terra gli uomini e con gli uomini la razza» e «La vera fonte la vera origine di tutta l'attività umana è la terra», quest'ultima inclusa nel Foglio di disposizioni n. 40 di Ettore Muti, all'epoca segretario nazionale del partito. E i celebri e rari «crapun» del Duce? Ce ne sono solo due rintracciabili in Friuli, e, singolarmente, nello stesso paese: Turrida di Sedegliano.
Il percorso attraverso i reperti propagandistici del fascismo tocca la Carnia, Udine, San Giorgio di Nogaro, Palmanova, Santo Stefano Udinese, Porpetto, Palazzolo dello Stella («Noi tireremo dritto», dal balcone di piazza Venezia, 8 settembre 1935), Villaorba di Basiliano, Mortegliano, Gagliano,
Cividale, Clauiano, Castions di Strada, Lucinico
(«I popoli che non amano portare le proprie armi finiscono col portare quelle degli altri»), Pordenone (sulla casa del Mutilato in piazza XX
Settembre) Cordovado, Monfalcone, con alcuni sconfinamenti nel Veneto.
L'ultimo capitolo è dedicato a Torviscosa, la città dell'autarchia, simbolo dell'avveniristica politica industriale dell'Italia fascista. Qui le scritte sui muri esterni sono abbastanza rare, sia perchè si era in parte esaurita la spinta propagandistica del Ventennio, sia perchè la città stessa era una glorificazione del regime. Le scritte interne sono ricostruite attraverso le foto fatte nel complesso «il Ristoro», ormai abbandonato: nella mensa si leggeva «Adoriamo il lavoro che dà la bellezza e l'armonia alla vita», nel bar «Lavorare per essere liberi e grandi».