martedì 20 febbraio 2007

MODA & MODI

Dangerous yellow

Un abito di Diane von Fürstenberg

Ogni estate si annuncia con il suo colore-manifesto. E se l'obiettivo è quello di farci sentire alla moda e di convincerci a comprare anche un piccolo capo o un accessorio minimale che già sappiamo destinati a durare lo spazio di una stagione, non può che essere un colore esuberante, provocante, al confine del pacchiano. Non sono mai tinte che già albergano, fiduciose, nel nostro guardaroba, in attesa di essere rispolverate e rinnovate nel prevedibile e rassicurante susseguirsi dei corsi e ricorsi dell'abbigliamento. Sono piuttosto tonalità fluorescenti, esplosive, un tempo utilizzate per le linee estive, in puro nylon, della Barbie (e oggi delle sue ancora più aggressive e labbrute epigone...) o, nella televisione vintage, per i cappelli delle zitelle ciarliere e un po' svitate in crociera su Love Boat.
L'anno scorso era il verde baccello, dilagante, inarrestabile, avvistato addirittura per un abito da sposa, tipo invasione degli ultracorpi. Quest'anno è il giallo, che, quanto ad appeal, lo tallona da vicino: un gelido abbraccio chimico declinato in spolverini, camicie, tailleur, giacche, abitucci, sandali, pochette.
Gli accordi tra aziende non ce lo risparmiano in alcuna collezione.

E le riviste femminili si sprecano in aggettivi persuasivi. Cito a caso: «...sole, paglierino, banana, limone, lime, segnaletico. Mellow Yellow, dalla testa ai piedi, per dare il benvenuto all'estate».  Sfoglia che ti risfoglia, tra uno pseudo-servizio di costume sugli effetti cromoterapici del giallo e mille pagine di pubblicità dedicate agli stessi stilisti che lo propongono in dosi massicce, il dubbio, anche nelle più inossidabili, s'insinua: starà bene anche a me? Sarà vero, come promesso, che «mi si noterà anche da lontano»? Sarà il caso di abbandonarsi alla «dolce carezza del sole»? Mi renderà più luminosa, brillante, appetitosa?
Difficile. Il giallo 2007, per lo più acido, sta bene a poche. Enfatizza le tinte delle more, sbatte le bionde, rende un po' ordinaria l'abbronzatura. E' un giallo evidenziatore, appunto: non perdona braccia e gambe poco temprate, incarnati stressati, occhiaie, capelli spenti. Fagocita qualsiasi abbinamento, si fa largo senza pietà, s'impone, richiama l'attenzione, è un po' come quelle gigantesche frecce luminose che s'incrociano in autostrada quando c'è qualche intoppo. Sempre e comunque sopra le righe, un filino smodato anche nelle griffe più rigorose.
Bellissimo sulle riviste patinate, dove la bocca è perfettamente truccata, il capello immobile, la doratura senza imperfezioni, gli accessori adeguati. Complicato da gestire nel quotidiano, a partire da abbinamenti che evitino l'effetto carioca. Stressante, più che rigenerante.
twitter@boria_a

martedì 6 febbraio 2007

MODA & MODI

Yo soy Betty, il riscatto delle cozze
Ugly Betty, l'attrice America Ferrera (ph. Abc)

Le sfigate hanno trovato la loro eroina. Si chiama Betty e in America e Inghilterra è già diventata un'icona di stile alla rovescia: anonima, un po' sovrappeso, coi denti ingabbiati nell'apparecchio, le sopracciglia cespugliose, assolutamente incapace di abbinare colori e vestiti senza sembrare un'insegna al neon. «Ugly Betty», protagonista l'attrice America Ferrera, è una serie televisiva che, negli Stati Uniti, ha sbaragliato tutti gli indici di ascolto, soffiando due Golden Globe alle stilose «Desperate housewives» e a quella gattamorta della dottoressa Grey dell'omonimo telefilm.
Basata sulla telenovela colombiana «Yo soy Betty, la fea, la fea» - e già l'origine la dice lunga sulla carica eversiva del prodotto - racconta le disavventure di Betty Suarez, assunta dal magnate dell'editoria Bradford Meade come assistente del figlio Daniel alla rivista patinata «Mode». Betty è arguta e acuta, ma viene scelta solo perché è probabilmente l'unica donna a New York con cui Daniel non andrebbe a letto.
La prima scena è già tutto il telefilm. Betty arriva a «Mode» impacchettata in un orrendo poncho rosso e blu con la gigantesca scritta «Guadalayara» che le ballonzola sul seno, causando una specie di infarto alla splendida receptionist Amanda.
Potrebbe sembrare il «Diavolo veste Prada» formato serial. Ma, al contrario dell'Andrea del film, che finisce risucchiata dall'implacabile sistema della moda, Betty non cambia né i valori né tantomeno il guardaroba. Anzi, quel suo stile «bancarella», quelle sue tinte esplosive da mercato latino, sono diventati un «trend».
Secondo un'indagine del network Abc, su cui va in onda la serie, i telespettatori si affidano all'antieroina delle griffe non solo per i risvolti buonisti della storia - l'intelligenza, la creatività, l'impegno che prevalgono sull'esteriorità: è la rassicurante faccia del sogno americano - ma anche per il suo modo di vestire, che ha riportato alla ribalta un delizioso look retrò anni Settanta.
Non tutto è casuale, anche nella bruttezza, ovviamente. Il poncho che Betty indossa il primo giorno di lavoro è un'idea della costumista Patricia Field, che ha inventato il pirotecnico guardaroba della serie Sex&TheCity. E così la collana della protagonista, una B gigante in creta e perle artificiali, che un po' fa il verso a quella famosa con la scritta «Carrie» di Sarah Jessica Parker, è opera della designer Jennifer Parrish (di Parrish Relics), tutt'altro che paccottiglia etnica.
Ma il resto sembra uscito in blocco da un negozio di seconda mano e con una sua, indefinibile, coerenza cromatica e cronologica: dai gilet di lana che danno a Betty quell'aria «zitellosa» alle camicette dalle fantasie caleidoscopiche, dalle gonnellone simil-jersey ai vestiti chiusi al collo con la sciarpina, dai golfini chiassosi e un po' infeltriti, all'abito «da sera» stile Judy Garland nel Mago di Oz, al tocco degli occhialoni da lettura linea occhio di gatto: tutto autentico e demodè, come i suoi ideali. E mentre intorno trionfano le griffe (visto il successo della serie gli stilisti non si sono fatti pregare a «prestare» capi e accessori), è il no-logo di Betty a sembrare davvero nuovo e originale.
Intanto, la rivista People ha scatenato la ricerca delle reali «ugly Bettys», invitando quante si sono sentite ignorate nella vita a causa di aspetto o look, a inviare foto e storie. Riuscirà il riscatto della «cozza» a prendere piede anche da noi, quando il telefilm approderà in primavera (dopo un primo assaggio già andato in onda su Happy Channel)? E il motto «be ugly» (scritto sulle magliette che l'online store della rete Abc vende alle fan, insieme agli accessori dei vari episodi) segnerà fieramente la rivincita delle bruttine, stagionate e no?
A guardarsi in giro, tra tv e riviste, è difficile crederlo. Ma c'è di certo una Betty nascosta in ognuna di noi. Basta non reprimerla troppo.
twitter@boria_a