martedì 21 agosto 2007

MODA & MODI: il codice delle "tutiste"

Britney Spears (ph. www.mega-wallpaper.com)
Quando l'artista fiorentino Thayaht, al secolo Ernesto Michahelles, la  lanciò, nell'estate 1920, era considerata l'abito più audace, nata per i meno abbienti ma subito adottata da aristocratici in cerca di eccentricità. Funzionale, disinvolta, economica, faceva risparmiare tessuto, lavoro, ma soprattutto tempo.
Geniale invenzione, la tuta. Con cui Thayaht, figlio di una famiglia cosmopolita di intellettuali e in contatto, fin da giovanissimo, con i futuristi fiorentini, voleva rompere con «l'abito passatista epidermico scolorito funebre decadente noioso antigienico», secondo la nuova estetica del vestire futurista di Giacomo Balla. La disegnò insieme al fratello Ruggero, in arte Ram, e la diffuse attraverso il quotidiano «La Nazione», con cartamodello in carta velina al prezzo aggiuntivo di 50 centesimi. Era l'«abito universale», pratico, fai-da-te, che costava poco e rompeva le regole borghesi. Tre anni dopo la ripresero i costruttivisti russi, si chiamò «Varst», vestito rivoluzionario dell'uomo nuovo.
Da allora, periodicamente, la «democratica» tuta ricompare nelle proposte della moda. Ci sarà anche quest'inverno, in materiali diversi, dalla flanella al satin, presentata in passerella con tacchi altissimi e cinturone in vita, a segnare seno e sedere. Se Thayaht pensava a un indumento che favorisse comodità, senso del benessere e libertà di movimento, l'evoluzione della sua idea ha preso strade perverse. Di democratico, la tuta 2007 non ha proprio nulla. Anzi è abito per poche, altissime, longilinee, con gambe nervose e sedere carioca. Chi mai, se non una silfide che tocca almeno il metro e ottanta, può pensare di imbustarsi in questo monopezzo poco malleabile e tendente ad appoggiarsi su quanto ci si sforza certosinamente di nascondere, fianchi rinforzati, glutei un po' frananti, cosciotte?
Le griffe che rispolverano la tuta, seconde linee a prezzi contenuti, si indirizzano tutte a un target di giovanissime, ma l'età anagrafica non è una zona franca. Per questo must di stagione bisogna guardarsi allo specchio con occhio critico e non farsi sconti. Sono una clessidra con la vita sottile e un fondoschiena marmoreo, che non si trasformerà in un würstel infilandosi in una simil-divisa da aviatore inizio secolo, con zip dal collo all'inguine, tasconi sul petto e pantaloni che finiscono in una ghetta? Rassegnamoci: nel novanta per cento dei casi la risposta sarà no.
Dive e popstar sono state le prime ad adottarla, Madonna con sneakers tempestate di cristallo, Britney Spears e Jennifer Lopez - che i requisiti di cui sopra li hanno, eccome - con gli immancabili stiletto. Il codice Thayaht per le «tutiste» osservanti, però, non prevedeva nulla di tutto questo. Al contrario. Si doveva abolire ogni vana esteriorità, cercare nella massima semplicità la vera bellezza, rinunciare ai tacchi alti. E lo stilista aveva disegnato anche un paio di calzature apposite, destinate a un'enorme fortuna, i cosiddetti «sandali di Firenze» con i celebri «occhi» ovali o «a giglio», che saranno indossati da generazioni di bambini.
L'ortodossia tutista è dunque perfidamente selettiva: perchè sfidarla?
@boria_a
Ernesto Michahelles, in arte Thayaht

martedì 7 agosto 2007

MODA & MODI

L'arte del reggicalze

Dustin Hoffman sedotto da Anne Bancroft ne "Il laureato"

I ganci sotto le gonne si vedono, eccome, per quanti contorsionismi una faccia. E se il modello non è costoso, o addirittura confezionato su misura, le bretelline che partono dalla fascia in vita (e le cui collocazione pare implichi nozioni di trigonometria) non cadono mai nel punto giusto per sorreggere perfettamente le calze, tendono a tirare da una parte, a spostarsi, trasformando l'ipotetico oggetto di seduzione in una sorta di cilicio di cui vorresti liberarti al più presto e non per dar corso ai suoi auspicabili effetti.

Chi ha letto la Sophie Kinsella di «Sai tenere un segreto?» ha idea della faccenda. La protagonista si lamenta dei fastidi legati a un perizoma, ma la descrizione si adatta ad altri ammenicoli del genere: la sensazione di qualcosa che si attorciglia in modo incontrollabile, piccole protuberanze che spingono sul tessuto nei momenti meno opportuni, la cintura che ruota, l'idea che un piegamento scombini tutto l'armamentario.


Indossare il reggicalze, o saperlo scegliere, è un'arte in via di estinzione. E confesso di ammirare con un misto di invidia e stupefazione, nello spogliatoio della palestra, una signora non più giovanissima che lo porta con straordinaria disinvoltura, addirittura sotto i pantaloni. Le mie caute richieste di istruzioni evidenziano un unico fatto: per la generazione del femminismo e dell'immediato post, il reggicalze resta legato a un'idea di seduzione maschile attraverso la sottomissione femminile, quindi da aborrire. L'idea però stuzzica, non solo perché ti senti la Mrs Robinson de «Il laureato», ma anche perché ormai le catene dell'intimo a buon mercato lo propongono in tutte le taglie, i colori, a prezzi convenienti e molto più pudichi e raffinati di quelli volgarotti, di nylon, col pizzo di bassa qualità dei negozi di intimo pseudo-porno.
 

In effetti le vendite dei reggicalze sono in crescita. In Francia lo indossa una percentuale di donne che tocca il 15 per cento e se ne vendono trecento ogni tremila reggiseni. Un piccolo fenomeno, al punto che se ne è occupato anche il quotidiano Liberation, ripercorrendone l'invenzione, attributa a tale Fereol Dedieu, il francese che nel 1876 escogitò un indumento «che forma con il basso ventre, i fianchi e le cosce un quadro di bellezza, o un obiettivo, come si preferisce...». Anche in Italia l'interesse sale, soprattutto tra le giovanissime, bombardate da pubblicità di capi retrò, e tra i loro compagni, che regalano il reggicalze per gioco, senza caricare l'operazione di eccessive aspettative erotiche (ben diversi dai signori furtivi nei negozi di intimo, consegnati all'immaginario cinematografico dalla commedia sexy all'italiana...).

Dice lo scrittore Carlo Castellaneta: «Il reggicalze delimita e insieme esalta uno spazio dove potremmo smarrirci, e quel triangolo diventa così una sezione aurea, un poligono perfetto, la geometria del nostro desiderio...».

Basterà per ispirare le scettiche della generazione «anta»?
twitter@boria_a