martedì 21 aprile 2009

MODA & MODI: foundation index


Lipstick o foundation, rossetto o fondotinta? Qual è il più affidabile misuratore della crisi? Leonard Lauder, capo dell'omonimo colosso fondato dalla madre, non ha dubbi, anzi, non li ha dal 2001, anno di recessione in cui formulò la sua teoria beauty-economica: più il pil scende, più le donne curano le labbra. «Quando il gioco si fa duro, le donne comprano rossetti», ha esemplificato, parafrasando la pubblicità della compagnia cosmetica Tangee durante la seconda guerra mondiale, secondo cui il rossetto aiutava le signore «a fare la faccia coraggiosa».
Otto anni dopo, nel pieno di un'altra recessione, l'Oréal rilancia: il più aggiornato indicatore del prosciugamento delle finanze è il fondotinta. Anche se il portafoglio piange, in sostanza, non si rinuncia a uniformare e setificare la pelle, piuttosto che a sottolineare le labbra. Il «lipstick index», dice il più grande gruppo mondiale della bellezza, vale solo per le over-sessantenni, mentre le diciottenni non hanno dubbi sull'importanza di un'epidermide senza imperfezioni.
L'asserzione ha gettato lo scompiglio nel mondo degli analisti economici, al punto che il Financial Times ne ha disquisito in prima pagina, citando percentuali e ricerche di mercato in Inghilterra: in base a una di queste, ma i dati generali confermano, nel 2008 le vendite di fondotinta hanno guadagnato quindici punti, mentre il rossetto si è fermato a due e mezzo. Che le preoccupazioni lascino tracce sulla pelle è risaputo. Il lavoro che si perde scava rughe, quello che traballa, esalta occhiaie, borse e macchie, le ore aggiuntive davanti al computer ingialliscono e sbattono. Ma proprio qui sta il dubbio: come mai se ne preoccupano le diciottenni e non le signore negli «anta», per cui la perdita dell'impiego è in molti casi irrecuperabile, o recuperabile al prezzo di altre devastazioni, comprese quelle estetiche?
Con tutte le novità della cosmesi degli ultimi tempi, dagli ombretti metallici all'eyeliner glitter, dai lucidalabbra ai mascara allunganti, infoltenti, raddoppianti, pare un po' improbabile che diciottenni dotate di quella che le nonne chiamavano «la bellezza dell'asino» entrino in una profumeria e ne escano con un fondotinta. A meno che l'unico "index" non sia quello dell'immagine, con buona pace della crisi economica.
Abituate a esser monitorate ventiquattr'ore al giorno da grandi fratelli e  amici televisivi, naufraghe su isole e fattorie dove ci sono solo moschini e telecamere, più queste che quelli, non c'è da meravigliarsi che le ragazzine si preoccupino di esibire anche nella circostanza più estrema una faccia impeccabile. «Velina index» più che foundation index.
E pure per le signore negli «anta», il misuratore è cambiato. Le percentuali delle pratiche estetiche poco invasive, dal botox ai filler, sono in netta crescita. Si rateizza la spesa, pur di presentarsi agli altri, colloqui di lavoro compresi, con un aspetto «sano», che non denunci anni e preoccupazioni. In America lo fanno i «non wasp», gli immigrati terrorizzati dal licenziamento, in Italia una classe media e di mezza età angustiata da un futuro incerto. E con le zampe di gallina finalmente ammorbidite dalla magica iniezione, allora sì che ci si dedica volentieri alla scelta di un rossetto.
@boria_a

martedì 7 aprile 2009

MODA & MODI: Michelle e Carla, a colpi di stile

Quante sfide deve superare Michelle. L'ultima in ordine di tempo appena qualche giorno fa, a Strasburgo, quando si è trovata a fronteggiare l'attacco repentino di Carlà, arrivata di gran carriera al vertice Nato con il sentore che la stella nascente riuscisse a rubarle la scena europea e ad accreditarsi planetariamente come la first lady che detta la moda. E ultima, è notizia di queste ore, la bocciatura, guarda caso, dello stilista di Laura Bush, Oscar de la Renta, che ha sibilato: «Non si va in cardigan dalla Regina». Perchè Michelle, in questa sua trasferta europea, ha evitato le grandi firme della moda statunitense e si è rivolta a giovanissimi designer immigrati, la cubana Isabel Toledo e il taiwanese Jason Wu, o ha scelto nomi dello street style come J. Crew, in vendita nelle catene low cost.
Apriti cielo. Che orrore il guardaroba da first lady della crisi economica. A de La Renta si sono accodate Vera Wang («vorrei che considerasse qualcuno di noi, perchè abbiamo qualche contributo da dare...») e una caustica Donna Karan, che ha sentenziato: «Spero e credo sia solo un momento: spero di poterla vestire, ma non solo, anche consigliarla...». Bellissima in completo nero e camicia di seta bianca accanto all'eterna regina Elisabetta di marzapane rosa nel G20 londinese che ha preceduto le giornate Nato, la signora Obama ha rotto addirittura il granitico cerimoniale di Buckingham Palace con quell'abbraccio temerario alle spalle della sovrana, da sempre intoccabile, finendo per promuoversi «in toto», maniere e stile, come la colta avvocatessa, paladina dei diritti dei più deboli, che non resta in soggezione davanti a una delle ultime icone di un mondo che non esiste più. Impeccabile eppure affettuosamente disinvolta con Elisabetta, fresca, deliziosamente vintage come le ragazze di Grease, gonna gonfia e golfino (quello che non è piaciuto a de la Renta, appunto), in uno degli impegni pubblici.
Non c'è da meravigliarsi che Carlà si sia precipitata accanto al marito a riaffermare una leadership finora incontrastata. Ma se quei soprabitini color polvere, quintessenza del finto understatement firmato Dior, quelle ballerine griffate sulla punta e la microborsetta col manico tondo avevano avuto gioco fin troppo facile con l'insalsicciata Camilla, nella prima visita ufficiale dei coniugi Sarkò a Londra, questa volta la top model italiana riconvertitasi in premiere dame si è trovata davanti un'avversaria «diversa» più che temibile. Ecco Carla, fotocopia della se stessa già vista qualche mese fa, tutta grigiolina, calze bianche e senza tacco accanto a un'esuberante Michelle che non ha paura dei colori, tailleur scuro con grandi fiori fuxia sul mezzo tacco che la aiuta a slanciare polpacci e fianchi.
Uno a zero, dunque, già per la tinta. Nessun timore di involgarirsi con quei ramage sulla pelle nera, anzi, una decisa affermazione di sé, del suo ruolo.
Accanto, madame Sarkò, tutta pastello, sembra solo quello che è sempre stata: un'affascinante e un po' annoiata ereditiera che, lasciato il trastullo delle passerelle, si dà alla musica, fingendo trasgressione nei confronti delle regole di un palazzo che ha abbracciato con grande velocità.
E le calze? Carla le porta lattee, quasi da infermiera, con effetto anestetizzante su qualsiasi sex appeal, Michelle lascia le gambe, pur forti e palestrate, nude. Un altro punto per la sensualità: l'America nera vince sull'algida Europa, senza sangue. Se proprio una pecca vogliamo trovare, diciamo che la signora Obama ha bisogno di un couffeur più aggiornato. La cotonatura le conferisce una muffosa cresta, a confronto dello sbarazzino liscio della francese. Ma c'è da scommettere che è già pronta una lunga lista di parrucchieri rigorosamente made in Usa pronti a rifarle la testa. Posto che lei, e non sembra così scontato, ci stia.
@boria_a
Michelle Obama e Carla Bruni Sarkozy (ph. Mirror)