martedì 22 settembre 2009

MODA & MODI: nella mia borsa entra anche la termodinamica 

Vi è mai capitato di specchiarvi in un camerino e scoprire che avete avuto un rovinoso cedimento fisico nottetempo? Faccia sbattuta, pelle color cemento, glutei in caduta libera? E di arrovellarvi sul perchè sembriate inspiegabilmente più basse, più schiacciate, meno toniche e con centimetri di cellulite inesplorati? A me spesso e proprio in uno dei miei negozi preferiti, il cui effetto ansiogeno, ho appurato, non è dovuto solo ai prezzi, ma è una conseguenza della luce visibile, la più conosciuta delle onde elettromagnetiche. L'illuminazione del famigerato camerino è determinata da lampade a fluorescenza, che, grazie a un meccanismo di atomi di mercurio e polveri dette "fosfòri", creano un agghiacciante effetto "mezzogiorno in spiaggia", rivelando senza pietà ogni poro dell'epidermide, ogni pelo superfluo, ogni incipiente smagliatura. Per di più sono posizionate in alto, come nella maggior parte dei casi, il che dà l'orrenda sensazione che le gambe si siano accorciate.
Ma c'è di peggio. Può accadere che in qualche grande magazzino la luce scelta sia "modello Stasi", ovvero un fascio gelido e bianco prodotto da tubi al neon, simile a quello utilizzato dalla polizia della Ddr durante gli interrogatori (provare per credere: nello store newyorkese più battuto dai turisti, vicino a Ground Zero, non vedete l'ora di uscire dalle fitting rooms per darvi una rinfrescata...). Strategia, pare, studiata a tavolino, in modo da costringere le signore che si scoprono su due piedi anemiche e grinzose a correre nel reparto cosmetici convinte dell'impellenza di una crema antirughe. La luce migliore, suadente e non troppo realistica, è quella regalata da un faretto alogeno: un filamento di tungsteno racchiuso in un bulbo di quarzo emette una bella luce brillante, che accarezza le forme e fa apparire liscia la pelle. Se non c'è "sindrome da camerino" l'acquisto è più felice e psicologicamente più facile. Prendete gli specchi: una leggerissima curvatura lungo l'asse verticale o un'inclinatura all'indietro ci fa sembrare più alte e slanciate e quindi più convinte dell'abito che abbiamo in mano.
Chi ha detto che scienza e moda sono così distanti? O che non è possibile una scienza "modaiola"? Se ne sapete poco (o nulla, nel mio caso) della prima e molto della seconda, è consigliato il gustosissimo "La fisica del tacco 12" di Monica Marelli(Rcs Libri), fisica lei stessa e fermamente convinta che dal dna alla tinta del parrucchiere, tutto si possa capire con le sue leggi. Così, insieme all'ingegnere biomeccanico inglese John Tyrer, scopriamo che per il reggiseno perfetto bisognerebbe pesare le mammelle (non provateci, toglie tutta la poesia: vanno immerse una alla volta in una vasca piena d'acqua, poi si pesa il liquido che è traboccato e si moltiplica per un fattore di correzione...), e che camminiamo male sui tacchi a spillo perchè la pressione esercitata dal terreno sulla pianta dei piedi è troppo elevata e concentrata nel punto sbagliato. Che soddisfazione, poi,  apprendere perchè non riesco mai a trovare chiavi, cellulare, rossetti nella mia borsa. Quel perenne disordine è dovuto all'"entropia", cioè alle tante possibili configurazioni casuali degli oggetti all'interno, molto più
probabili di quell'unica ordinata che ho stabilito io. Non ne ho colpa, dunque, è la seconda, autorevolissima, legge della termodinamica.
@boria _a

martedì 8 settembre 2009

MODA & MODI

Anche la Kinsella ha un'eroina della crisi


Spalle quadrate? Neo-leopardato? Chiodo e tacchi assassini? Se l'economia dice austerity, la moda s'impunta e rilancia: supremacy. Mentre conti e certezze vacillano, dai bauli degli anni '80 escono molti fantasmi: giacche di pelle, proporzioni esagerate, plateau e stiletto, animalier aggressivo e colori esplosivi, "sbarluccichii" di lamè e paillettes. Il power-dress rispolvera le sue armi più collaudate, tailleur, tacchi alti, rigidità e geometrie, neri e ori, un armamentario indirizzato paradossalmente a signore negli "anta", quelle che gli analisti dicono le più colpite dalla crisi strutturale (ovvero: se sei fuori e intorno alla mezza età, hai poche speranze di tornare al lavoro).
Contraddizioni? Sbandamenti? Incertezze? Mai come in questa stagione la moda balla con l'orchestrina del Titanic, poco in sintonia con aspirazioni e aspettative di potenziali destinatarie. I saldi non hanno esaltato i commercianti e già i negozi si riempiono di collezioni che tra tre mesi saranno in offerta speciale. Sfogliare le riviste femminili è fare un viaggio in un mondo immaginario che lascia spiazzati, sprofondandoci in un turbillon di scarpe e vestiti con le borchie, fuseaux lucidi, giubbini da motociclista, guaine panterate, borse come coccodrilli da passeggio, scarpe su cui issarsi a fatica, figuriamoci affrontare giornate che consigliano di impiegare altrove le energie.
Più la crisi è fitta, più la moda se ne estranea. E a sfidare i fantasmi onnipresenti della recessione, sceglie di mandare estemporanee amazzoni, donne sigillate in abiti rigidi, guerreschi, o sfavillanti di colori che ricordano il "mood" di anni più sbadati e leggeri, anni da bere di cui a malapena risentiamo in bocca il sapore. Il sogno deve alimentare se stesso, dicono gli esperti del settore. E allora in passerella scorrono borse gigantesche, accessori esagerati, tronchetti da combattimento, piattaforme e aghi, pitonesse e ballerine, figure teatrali che pare difficile trasferire nella realtà, sia pure solo a livello di ispirazione. Intanto, mentre gli stilisti litigano per il calendario delle sfilate dell'imminente settimana della moda millanese, gli esperti di economia annunciano una prossima "corsa ai marchi", scatenata dalle condizioni in cui versano molte società quotate in Borsa. E Mario Boselli, presidente della Camera nazionale della moda, da Cernobbio chiede un "piano Marshall" per salvare il settore del tessile, ormai alle corde.
Senso di responsabilità: ne parlano tutti. Ma a guardare le collezioni sembra che i primi ad essersene dimenticati siano proprio gli stilisti. Ricordate Becky, la fashionista con le mani bucate della fortunata serie letteraria di "I love shopping"? Quella delle spese folli, delle carte di credito prosciugate, della miniera di griffe nell'armadio? Ebbene, anche Sophie Kinsella ha dovuto adeguare la sua eroina letteraria ai tempi della crisi e l'ha trasformata nella virtuosa Lara, protagonista de "La ragazza fantasma", lavoro incerto, look minimale e, come trasgressione estrema, una giacca a edizione limitata della catena Topshop.

Più noiosa, forse, ma più simile alle sue lettrici.
twitter@boria_a