mercoledì 31 marzo 2010

IL LIBRO
 

Erin McKean, le vite segrete degli abiti

Le appassionate del vintage lo sanno bene: ogni abito porta con sè una storia, custodisce un passato di incontri e di occasioni. Indossarlo significa restituirgli vita, ma anche accettare il rischio di assorbire un po' di quella di chi l'ha avuto prima di noi. Come la moda, la letteratura scopre quale inesauribile miniera di ispirazioni possano essere bauli, mercatini, negozi di seconda mano e quali trovate narrative consenta dare un'anima ai vestiti vecchi e vedere come se la cavano quando da manichini e grucce si trasferiscono su un corpo vivo, con decine e decine di anni in meno.
Lo fa anche Erin McKean, americana, curatrice di dizionari per la Oxford University Press ed esperta di vocaboli "strani", che con "Le bugie hanno le gonne corte" (Piemme, pagg. 301, euro 16) debutta nella narrativa - anzi, per dirla con lei, in un genere in cui le parole per la prima volta non sono in ordine alfabetico - e vi esporta la passione per il ricamo e per la moda fuori moda.
Basta dare un'occhiata al suo singolare sito www.dressaday.com per immergersi nell'atmosfera del libro: capi non griffati, per lo più intorno agli anni Cinquanta e Sessanta, dal taglio sicuro e i bottoni che non si sfaldano tra le mani, impavidi reduci di epoche dove non ci si "cambiava", ma ci si "vestiva" per cena, dove l'abito da cocktail non era un escamotage pubblicitario per moltiplicare le collezioni e asole, orli, decori evocavano la ritualità e i fruscii delle sartorie, magari non nobili ma dall'impagabile rigore artigianale.
Vestiti che attraversano le stagioni, un pretesto per raccontare con impalpabilità il passaggio di testimone tra generazioni di donne. Quella di Dora, la protagonista di questo romanzo chick-lit, è proprio la storia di un'iniziazione al gusto, che coincide con il trascorrere dall'età della sventatezza e dei castelli in aria a quella della responsabilità. Quando Mimi, sua nonna, che è anche la proprietaria di una boutique vintage, si ammala, Dora prende il suo posto, dapprima riottosamente, poi sempre più attratta da un gioco che era stato preparato per lei da lungo tempo e che le farà scoprire vocazione e uomo giusto.
Sono gli abiti a indirizzarla, anzi, le loro vite segrete che la nonna scriveva e poi cuciva nella fodera, e che adesso sarà Dora stessa a immaginare, comporre e nascondere tra le pieghe del tessuto, perchè qualcun'altra le faccia sue e, a sua volta, le trasmetta. «Noi non vendiamo cose meno costose - le dice Mimi - ma cose più speciali. Dobbiamo raccontare la storia di ciò che mostriamo e poi far vedere a quelle donne come diventarne le prossime eroine». Dora cresce quando intuisce il segreto: ogni abito ha dentro di sè un'anima, il diritto di immaginarselo addosso e di sognare.
twitter@boria _a

                                                   La copertina del libro di Erin McKean (Piemme)

martedì 23 marzo 2010

MODA & MODI

Orange male

L'arancione colore di tendenza per l'uomo 2010

Cromoterapia per scuotersi dai rigori dell'inverno, metereologici ed economici? La risposta delle passerelle è univoca: arancione. Colore più maschile che femminile, a dispetto delle apparenze, quest'anno declinato in un total look che "buca". Un lui in giacca e pantaloni vitaminici, in trench tonalità evidenziatore, al limite dell'azzardo nell'abbinamento zucca e rosa, caldo ed energetico, per nulla chimico. E se il rosso è sempre stato considerato un po' da "fighetti" velisti, tinta difficile da governare senza cadere nell'ordinarietà, l'arancione evoca il rigore e la pulizia del design d'autore, si lega ai movimenti artistici di punta, accompagna pagine di storia del costume, dal mangiadischi alla Vespa, dai Lego al Maggiolino. Eccentrico ma nobile, esagerato ma compatto, pastoso e rilassante.
Piace moltissimo a Kandinsky e agli architetti del Bauhaus nei primi anni del secolo scorso, poi, verso i Cinquanta, con la nascita del design industriale, entra nelle case degli italiani sotto forma di poltrone, lampade, elettrodomestici, disegni di moquette. È l'arancione di Gio Ponti e Zanuso, dei fratelli Castiglioni e di Munari, imperativo e non invasivo, singolarmente adattabile ai più disparati arredamenti. Nella "swinging London" degli anni Sessanta, l'efebica Twiggy rivestita in total orange da Mary Quant, è un manifesto vivente dell'epoca: anticonformista nelle prime minigonne, disinvolta nei movimenti come solo i nuovi collant possono consentire, libera e vitale, piena di carica. Colore simbolo di onore e generosità, dell'induismo e della rivoluzione pacifica in Ucraina, è amato dagli hippy e dal movimento degli Hare Krishna, gli "arancioni", ai quali George Harrison, all'epoca nuovo accolito, dedica una delle sue canzoni più famose "My sweet Lord".
Asseverativo e mai effemminato. Persino il ministro Tremonti, un paio d'anni fa, sceglie di galvanizzare la consueta grisaglia con il guizzo di una cravatta arancione in segno di solidarietà al popolo tibetano. Hermès, griffe dell'uomo lussuoso per eccellenza, da sempre ne fa il colore del suo packaging, e Giorgio Fedon, pelletteria cadorina di punta, riempie di ventiquattrore color zucca la sua showroom newyorkese sulla Quinta Strada.
Quest'anno è tutto un esplodere di flash arancio carico sulle passerelle maschili: giubbotti, camicie, bermuda, completi, che si miscelano con disinvoltura a neri, torbe, verdi, quadri, quasi l'arancio sia il nuovo grigio. E anche per lei il colore detta legge, a dispetto dell'incarnato e dei capelli. Chi ha detto che arancio su arancio non sta bene? Dimenticatevi la ministressa Brambilla, sempre in qualche modo sopra le righe, e guardate la bianchissima e androgina Tilda Swinton, con le sue onde ramate, che veste un abito di Jil Sander color arancia siciliana, sapido e raffinato. L'estate ha bisogno di adrenalina. E allora gli stilisti, senza paura di caricare, sui loro tanti arancioni ci piazzano paillettes, ruches, drappeggi, ricami. C'è voglia di calore. E l'arancione, come il nero, calamita il sole.
twitter@boria_a

"My sweet Lord" di George Harrison

martedì 9 marzo 2010

MODA & MODI

Carla versus Svetlana, the winner is braless

Dieci anni fa, quando era "solo" una top model, Carla Bruni l'aveva detto: non ho un seno sconvolgente e posso mostrarlo, nessuna volgarità. Dieci anni dopo, premiere dame di Francia, ha cambiato ruolo ma non idea, a dispetto dell'ufficialità delle situazioni. E così eccola, senza reggiseno, in un abito azzurro pavone di jersey, firmato dallo stilista di origine francese Rouland Mouret, seduta accanto al presidente russo Dmitrij Medvedev e consorte.
Accollatissimo e attillatissimo, il busto in trasparenza, con il profilo dei capezzoli perfettamente godibile (accentuato da una strategica pence), ha fatto in un battibaleno il giro dei blog e della stampa internazionale. Scandalosa Carla che, a un impegno di Stato, è riuscita non solo a concentrare su di sè tutti gli occhi del mondo, rilanciando un'immagine ultimamente un po' in affanno, ma soprattutto a oscurare l'altra "first" al tavolo, Svetlana Linnik, modaiolissima signora Medvedev con una preferenza spiccata per i colori confetto e con un seno da kolchoziana impossibile da lasciare in libertà. Tacco appena accennato per Carlà, altrimenti la distanza dal nanerottolo marito sarebbe sembrata, questa sì, irrispettosa del nazionalismo d'oltralpe, contro gli stiletto preferiti dalla compatta "first" russa. Seno in tralice, contro un busto debordante decisamente bisognoso di essere irregimentato. Inutile dire che non c'è stata competizione. Il dibattito, invece, si è acceso. Nemmeno i calzoncini e le gambe completamente scoperte di Michelle Obama, paparazzatissima mentre scendeva
dalle scalette dell'aereo presidenziale in versione familiar-vacanziera, hanno sollevato opinioni e contributi così intensi e schierati. Lì tutti concordavano sull'immagine tonica e sportiva della mamma d'America pronta a un paio di settimane di giochi all'aria aperta con la prole, all'insegna del moto e della salute. Quindi nessun equivoco sul messaggio trasmesso all'obesa platea yankee da quei robusti centimetri di cosce a vista: relax e salutismo. Carla, invece, s'interrogano i fashion "observer", che cosa avrà voluto dire? Troppo furba per stracciare il protocollo senza un buon motivo. Troppo sicura di sè per ricorrere alle trasparenze per foto e copertine planetarie. Troppo "già esposta" per giocare col suo corpo (era appena diventata la signora Sarkozy quando è comparsa senza veli sulla rivista GQ, con la fede
bene in vista, era in maglietta e senza reggiseno anche al funerale dell'amatissimo fratello...). Troppo tutto, insomma, per non calcolare la portata di quel nudo. E se fosse soltanto, di nuovo, il sottile divertissement dell'eliminazione diretta? Successe, senza storia, con Camilla, un fagotto che nulla ha potuto davanti all'eleganza siderale del grigio Dior. Successe, un anno fa, a Strasburgo: un altro grigio Dior, questa volta polvere, appannò una Michelle un po' sopra le righe, in nero e fucsia. È successo ora per eclissare Svetlana, la signora venuta dal freddo che ama la mondanità. Carla nuda e copertissima, vincente, ancora una volta, per sottrazione.
twitter@boria_a
Carla Bruni nell'abito di Rouland Mouret

lunedì 1 marzo 2010

MODA & MODI

Lato-B griffato

                                                      Il lato-B di Beyoncè ai Golden Globe 2007

Non si chiama più solo "lato B". Adesso è il "Beyoncè B-side", sedere ispirato al modello di punta del momento, quello della ventottenne cantante americana di sangue creolo che per prima ha avuto l'onore di stampare il suo nome sui glutei perfetti. È il momento della morbidezza, delle curve, del derriere personalizzato che si ispira alle star dai fianchi generosi, anche a quelle che hanno superato il giro di boa degli "anta". Non a caso, sul palco del baraccone sanremese, dopo le rotondità sguscianti di Antonella Clerici, capaci di suscitare al più pulsioni domestiche, è bastato che salisse Jennifer Lopez per restituirci il brivido dell'inarrivabile fondoschiena latino, quello che l'ha resa celebre ben oltre la sua altalenante carriera  artistica. Il sedere pieno, carioca, levigato, marmoreo, sollevare il quale, anche senza spendersi troppo, le assicura per il disturbo qualcosa come trecentomila euro. Finora i suoi erano stati i glutei di assoluto riferimento, solidi per quanto "attempati", prima che Beyoncè si mettesse di traverso, sottraendole lo scettro e firmando un profilo di natiche, come la
sua rivale finora ha fatto solo con una linea di biancheria intima sexy per extra-large.
Che si preferisca la "clessidra" classica di JLo o quella più contemporanea della rivale, resta il fatto che dal chirurgo, chi vuole o chi può, va oggi con un'indicazione estetica precisa, come se scegliesse un modello di reggiseno o un taglio di capelli: "voglio un sedere alla Beyoncè", sinonimo di consistenza, fermezza e sensualità "Voglio un sedere alla JLo" ovvero rotondo, prominente, eccessivo, perfino un po' volgare. Gli affezionati del dottor Rey, il chirurgo brasiliano che su Sky trasforma in meglio signore e signorine già notevoli, lo sanno da tempo: se per il seno ci si limita a discutere sulla larghezza e il peso delle protesi, in maniera un po' fredda e impersonale, per i glutei ci sono precisi punti di riferimento: la Lopez, Beyoncè, ma anche Sophie Dahl, top model celebratissima nonostante curve da dolce vita.
Il "Beyoncè B-Side", comunque, è una soluzione più che scientifica, messa a punto dal professor Pietro Lorenzetti, direttore del Villa Borghese Institute di Roma. «Il nuovo trend - spiega - sono liposuzioni soft che scolpiscano i fianchi, eliminino "culotte de cheval" ma non svuotino i glutei». Per ottenere il lato B firmato bisognerà sottoporsi a una liposcultura dei fianchi associata a un lipofilling della porzione laterale dei glutei. Se le natiche sono piatte all'origine o svuotate dal fisiologico cedimento, verranno inserite protesi nei punti dove è necessario rimpinguare. Il grasso aspirato dai fianchi non si butta via, anzi, viene trattato e usato per perfezionare il re-styling generale del sedere. Vi pare, oltre che finanziariamente impegnativo, anche poco poetico? Allora non resta che continuare a sudare sulla "standing gluteus machine", pensando alla floridezza moderna di Dita Von Teese, altro sedere doc di Sanremo, che ha mostrato come si possa essere burrose e con classe.
twitter@boria_a

                                                       JLo, curve in verde (ph. digitalspy.uk)