martedì 25 maggio 2010

MODA & MODI: le culotte di Venus, effetto nudo
Lilì de Alvarez nella gonna pantalone disegnata per lei da Elsa Schiaparelli (ph: alvarezgomez.com)
Correva l'anno 1931 quando la star del tennis Lilì de Alvarez mandò in fibrillazione il compassato parterre di Wimbledon indossando l'antenata degli shorts, una gonna pantalone disegnata apposta per lei dalla stilista Elsa Schiaparelli. Domenica scorsa un brivido lungo ottanta minuti ha percorso il Roland Garros quando la statuaria Venus Williams, la Naomi del tennis, ha inchiodato la svizzera Patty Schnyder strizzata in una microsottoveste nera bordata di rosso, un niente di pizzo da far invidia a Dita von Teese. Regina del burlesque e regina del rovescio hanno un'altra caratteristica in comune, quel fondoschiena mozzafiato che Venus ha sigillato in culotte color nocciola, appena qualche nuance di differenza dalla sua pelle, regalando al mondo l'illusione di uno statuario, carioca, marmoreo sedere nudo.
Venus Williams, culotte da brivido


Ottant'anni dopo, l'oltraggiosa pantagonna di Lili, concepita per favorire lo scatto senza penalizzare lo stile, è diventata lingerie, con buona pace soprattutto dello stile. E non è la prima volta che Venus scandalizza gli sportivi e fa impazzire i blog con il suo guardaroba da boudoir, puntando soprattutto sulle natiche. Al torneo di Roma, la microgonna aveva scoperto mutandoni color carne, effetto biancheria intima assente, con un'illusione ottica da paralisi collettiva al Foro Italico.
«Tenute comode, trendy e sexy» ribatte lei a chi le consiglia di provare il Moulin Rouge se il Roland Garros andasse male, senza problemi a dichiarare che di solito arriva ai tornei con almeno una decina di mise diverse in valigia. Completini osé che si disegna da sola, trasformando il diploma all'istituto d'arte di Fort Lauderdale, in Florida, in un ottimo business, al quale i tornei offrono una passerella planetaria. La sua linea "EleVen", nata nel 2007, sta andando a gonfie vele e l'ultima creazione, un baby doll rosso fuoco, lanciato a Roma prima di essere eliminata, spopola in Internet.
«Eleven era il mio numero civico nel ghetto di Comtpon, a Los Angeles, dove sono cresciuta» confessa Venus e punta sui colori accesi e i prezzi popolari, accessibili all'enorme mercato afroamericano che la apprezza. Che tenerezza la gonnellona di Suzanne Lenglen, antenata del Grande Slam, o i pantaloncini vintage di Martina Navratilova. Tra un diritto e un rovescio oggi si fa defilé. La russa Maria Sharapova non vince più ma incanta con i suoi veli, la 17enne portoghese de Brito lancia urla e svela vezzosi reggiseni. A Venus rimarrà solo un sogno: «Voglio vestire Jennifer Lopez», racconta. Ma JLo ci ha già pensato da sè a firmare un po' di linee, puntando, con anche lei, sforzo di fantasia, sul sedere.
@boria_a
Maria Sharapova agli Australian Open 2010

martedì 18 maggio 2010

MODA & MODI: l'it-bag? E' un riciclo

"Must-have"? "It-item"? Parole incomprensibili per le odierne "recessioniste", le fashioniste ai tempi della crisi, con un budget ridotto all'osso e la fantasia che percorre strade impensabili per essere alla moda, o meglio, per crearsi la propria, esclusivissima, moda. "Must" e "it" li accantoniamo pure volentieri, come tutto quello che negli anni '80 si definiva "da bere". Termini antipatici già prima della neo-austerity economica, con quell'idea del pezzo "che si deve proprio avere", quindi di liste, selezione, tempi di attesa, di poco gusto e tanta fiducia nel logo salvifico a più zeri che regala una patina di sicurezza e solidità di gusto anche a chi non ne ha proprio. Non sai mai che borsa abbinare al vestito per non sbagliare? La "it-bag" risolve tutto: perfetta, costosa, impersonale, l'ultimo prodotto della
catena del lusso, quella paparazzata al braccio dell'attrice o della rockstar di punta che, guarda caso, la riceve in regalo dalle griffe solo  per attizzare il desiderio delle comuni mortali. Le "it" stagionate sono anche le più facili da trovare nei negozi di vintage di lusso: di vintage, è ovvio, non hanno nulla, sono solo vecchie di un paio d'anni. Le proprietarie se ne sono già stufate (perchè l'"it", per sua natura, è caduca) e sperano di piazzarle a metà prezzo a qualcuna cui è rimasta la voglia, per poi reinvestire in un oggetto del desiderio più nuovo e altrettanto anonimo, a dispetto della riconoscibilità del marchio. Roberta di Camerino è morta da pochi giorni e le quotazioni delle sue celebri borse d'antan, stanno già salendo. Ma fino a poco tempo fa era possibilissimo scoprire nei negozi di seconda mano splendidi fondi di armadio per poche decine di euro, alcuni firmati solo all'interno, il massimo dello chic "irrintracciabile" (in pelle bianca, pre-bagonghi, quaranta euro, a Trieste) e un unico handicap, il vago  sentore di naftalina...). Le più lungimiranti si sono accaparrate per tempo le Bottega Veneta degli anni '70, all'epoca prodotto veramente di nicchia, con la stampa a farfalla sul camoscio o l'inconfondibile intreccio color champagne. Squadrate, a tascapane, a cartella, sono molto meno fantasiose rispetto al design attuale, ma grazie alla rinascita del marchio con il direttore creativo Tomas Meier, accendono autentiche battaglie nelle aste on-line.
Il segreto? Imparare a guardare, a toccare, a riconoscere, non aver paura di mescolare epoche e stili, disorientare e calibrare, convincersi che per essere "it" non serve mostrare nulla, men che meno un logo. L'importante è l'equilibrio: niente total-look griffato e niente frenesia da robivecchi, sempre a rischio ridicolo. Risparmio e unicità: basta un po' di fiuto. Liz Goldwin, nipote dell'imperatore dei produttori di Hollywood (la G è quella della Mgm) e collezionista maniacale di vintage, con un guardaroba di migliaia di capi, confessa di comprare solo qualche pezzo di stagione e dare  la caccia a tutto il resto nei mercatini, su e-bay o alle aste ("mescolo le Sorelle Fontana, ormai introvabili, con cappotti e golf fatti a ferri di una ballerina del New York City Ballet degli anni '70. È come aggiungere strati alla mia vita..."). Lo diceva, più brutalmente, anche Samantha in "Sex and The City", riferendosi a un party dove si "rottamano" gli ex: «Lo scarto di una, può essere la felicità di un'altra...». Basta aver la pazienza di cercare, magari salta fuori anche il gioiello.
@boria_a
I pezzi di Roberta di Camerino delle signore triestine in mostra al Revoltella (foto di Massimo Silvano

martedì 4 maggio 2010

 MODA & MODI

Tacchi e cravatte verso Downing Street

Samantha versus Sarah, la corsa per conquistare il numero 10 di Downing Street è anche una questione di guardaroba, di lui, ma soprattutto di lei. Quando si tratta di lanciare messaggi politici attraverso l'abbigliamento, unico strumento istantaneo di comunicazione al di fuori del mondo tecnologico, le carte si mescolano, gli estremi si rovesciano, fino a trovare inedite alleanze trasversali basate sui codici vestimentari. Quindi non immaginatevi la possibile futura "first lady" britannica, moglie del leader conservatore David Cameron, che ha già praticamente i piedi sullo zerbino dell'abitazione più famosa di Londra, come una riedizione aggiornata  della signora Thatcher, tutta tailleur legnosi, borsette contundenti e una permanente per elmetto.


Al contrario, Samantha Cameron, mamma a settembre, indossa con disinvoltura  sulle forme arrotondate giacche e pantaloni di catene cheap come Marks and Spencer, Topshop e Jigsaw anche quando è accanto al marito in formalissimi appuntamenti elettorali. E se per lei, che di mestiere fa la direttrice creativa di Smythson, brand di cartoleria e pelletteria di lusso, e che ha pure una sorella che lavora a Vogue, accaparrarsi le borse esclusive non costituisce un problema, non lo è neppure abbinarle con scarpe da ginnastica rasoterra o con stivaletti comprati da Zara, che trasforma in oggetti da concupire come delle Jimmy Choo.


 
Samantha Cameron (@Sipa)
 

Tutto il contrario, e non è un'operazione semplice, riesce alla first lady uscente, la labour Sarah Brown, incerta nel look quanto il marito è gaffeur  negli incontri con gli elettori. La signora Brown cala la sua 46, taglia che - almeno quella - condivide con la maggior parte delle britanniche, in conservatori tailleur color ferro, gonna stretta al ginocchio, e sfoggia autentiche Jimmy Choo su calze color carne, facendole assomigliare a delle Zara.

Quanto ai rispettivi mariti, se Gordon Brown non riesce a muovere un passo senza la cravatta, David Cameron, dismesse le uniformi di Eton e Oxford, sa bene che il casual può diventare una straordinaria arma di consenso, a patto di non fare passi falsi come il vecchio leader conservatore, William Hague, cui un innocuo berretto da baseball, indossato per dare di sè un'immagine più fresca, guadagnò la definizione di "molestatore di bambini in un parco giochi". Altri tempi.


Oggi il vezzo del candidato premier di lasciare aperto l'ultimo bottone della camicia, pur gettando nella mestizia i sarti di Sawile Row, viene considerato altrettanto "simbolico" della messinpiega di cemento della Thatcher, l'ultima volta in cui i tory lasciarono un segno rilevabile nelle cronache del costume. Anche la palette delle sue cravatte, lancia messaggi subliminali. Dal rosso, al verde, al grigio quando scalpitava per la poltrona di numero uno del partito nel 2005, oggi spesso blu, come Barack.

Che importa se l'avversario Brown è stato il primo leader europeo a mettere piede alla Casa Bianca, la dimestichezza di Sam con gli abiti da grande magazzino e il blu di David puntano ad abbinare gli Obama ai Cameron e quindi a trasmettere all'elettorato uno slogan preciso: siamo freschi, spigliati. E con noi, anche in Inghilterra, è possibile cambiare.
twitter@boria_a

Sarah Brown con il marito Gordon nel 2009