martedì 29 giugno 2010

MODA & MODI: la maglietta della politica

Abbasso la camicia, viva la maglietta. Sotto la giacca, mai più la costrizione dei bottoni ma un ammiccante girocollo che fa più aggiornato e al passo con i tempi. Con un bel po' di ritardo su Berlusconi, che da un paio d'anni ha sdoganato la maglietta in filo di cachmere per le occasioni pubbliche, il trend, si fa per dire, ha preso piede anche tra i politici nostrani. E, con qualche eccezione, prevalentemente tra gli esuberanti rappresentanti del popolo delle libertà.
Libertà, appunto. Una bella inaugurazione vagamente modaiola? Ed ecco il  Nostro di turno sfarfalleggiare tra gli astanti con una t-shirt, tipo maglietta della salute ma nera, che trasmette subito l'idea del "sono uno come voi", alla mano, un po' piacione, un bravo ggiovane che sa stare tra la ggente. Un paio di coppe da consegnare per il classico torneo estivo? E rieccolo, con la sua magliettina scura sotto la giacca sbarazzina, a stringere calorosamente mani, sportivo tra gli sportivi.
È lo stile da gazebo, transitato agli appuntamenti formali. Quando lo adottò Berlusconi, fu tutto un fiorire di interrogativi tra i cultori dello stile: perchè il tradimento della fida cravatta di Marinella e l'esposizione del collo nudo e inerme? Il Cavaliere come Superman? Sprezzante del pericolo estetico, al punto da mostrare la porzione di testa dove il chirurgo estetico nulla ha potuto? La più plateale smentita alle malignità dei comunisti, secondo cui quell'incarnato marrone da Muppet si deve al fondotinta a bordo collo? Un nuovo messaggio agli italiani celato dietro l'esposizione dei cedimenti fisici? Il dubbio è rimasto. E anche una certezza: la maglietta è impietosa, su tutte le parti del corpo. Anche quelle del leader. Non nasconde il collo, ma nemmeno il tronco. Evidenzia le maniglie, si appoggia sulla pancia, si allarga sulle braccia lasciando sfuggire "le tendine" (che non sono una prerogativa femminile...), si incava lì dove dovrebbero esserci i pettorali a gonfiarla e a tenderla. È il capo esclusivo dei palestrati, l'unico che li salva dalla fastidiosa impressione che le loro giacche e camicie stiano per lacerarsi e i bottoni schizzare in orbita.  Allora, perchè mettersela se si ha più dimestichezza con i tempi morti della democrazia in un qualche consesso elettivo che con le sale pesi? Non si sembra più giovani, nè più alla moda, nè più vicini agli elettori, si sembra uno che vuol sembrare più giovane, che vuol far credere di essere alla moda e che si è dimenticato la camicia prima di uscire. Il suggerimento l'ha dato in questi giorni Armani, presentando le sue nuove giacche maschili che tirano sul torace: «la potenza dei pettorali va messa in mostra». Da prendere all'incontrario: chi non li ha, almeno eviti di farci cadere sopra l'occhio.
@boria_a
Berlusconi magliettatoscalia

lunedì 21 giugno 2010

IL LIBRO
Carola Barbero: Sex & The City si prende con filosofia

Che cosa c'entra la filosofia con "Sex and the City"? La nobile disciplina che s'interroga sul senso dell'esistenza umana, con le quattro amiche newyorkesi, sempre alla ricerca di Mr. Right? Già pare di vedere le facce dei puristi: Platone e Aristotele fatti a pezzi a colpi di Jimmy Choo. Eppure sono proprio loro, i maestri greci, a metterci sulla strada giusta. Dice Aristotele: «Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia». E Platone: «È veramente propria del filosofo questa situazione, il provar meraviglia, nè altra che questa è l'origine della filosofia». Ancora niente? Pensate a Carrie, nella celebre sigla della serie, mentre passeggia per Manhattan e la ruota di un autobus, finita in una pozzanghera, la schizza di brutto. La macchina da presa stacca e inquadra la scritta sulla fiancata dell'autobus, "Carrie Bradshaw knows good sex", che pubblicizza la rubrica firmata dalla protagonista sul "New York Star", intitolata appunto "Sex and the City" . "Oooh", fa lei, colta di sorpresa.
Ma anche noi siamo stupiti: scopriamo che la protagonista indossa un tutù, gonna non esattamente ortodossa per affrontare il traffico e l'inquinamento della città, e scopriamo che la sua faccia campeggia su un mezzo pubblico, che è un personaggio famoso. Ecco, dunque, il primo contatto tra sacro e profano. La meraviglia: elemento di partenza di qualsiasi approccio filosofico, requisito indispensabile per avviare una qualunque ricerca, uno dei pochi punti che metteva d'accordo anche Platone e Aristotele. Siamo stupiti da ciò che non capiamo, che ci coglie di sorpresa, che non avevamo previsto, e quindi ne cerchiamo la causa, a volte risaliamo all'origine. E proviamo meraviglia anche quando non ci accontentiamo di assistere al flusso delle cose, ma vogliamo comprenderne le ragioni e darci delle risposte. Insomma: con la meraviglia comincia la filosofia. E con la meraviglia comincia pure "Sex and the City".
Carrie sulla pubblicità degli autobus
Abbinamento demenziale? Carola Barbero, ricercatrice all'Università di Torino, non la pensa così e a convincerci che la filosofia può aiutare a vederci più chiaro in sesso, amore, erotismo (e anche autoerotismo) dedica un delizioso volumetto "Sex and City e la filosofia" (il melangolo, pagg. 145, euro 12,00). Perchè, come spiega Bertrand Russell, pensatore e matematico del XX secolo, la filosofia non è faccenda solo per individui colti e riservata ad argomenti alti ed astratti, ma è importante per tutti, nella vita di tutti i giorni.
Le rubriche di Carrie cominciano sempre con una domanda, una quaestio, scolasticamente parlando, e raccontano come lei stessa e le sue amiche - l'eterna innamorata dell'amore Charlotte, l'erotomane Samantha, la cinica e disincantata Miranda - provano a darsi una risposta, confrontandosi, confidandosi, parlando.
"Gli uomini sono tutti strani?", "Single è bello?", "Sesso: desiderio o necessità?" Il procedere per domande e risposte, che attraversa tutti gli episodi della serie, è un esercizio squisitamente filosofico. Socrate, nei dialoghi di Platone, insegna come per risolvere le questioni poco chiare non serve a nulla imporre agli altri la propria opinione, mentre attraverso il dialogo, spronando gli interlocutori con domande non retoriche, li si porterà ad acquisire gli strumenti per giungere alla risposta. Le nostre quattro eroine la cercano in tacchi a spillo e abiti firmati, continuando a interrogare e interrogarsi mentre piroettano da un party e da un partner all'altro di Manhattan. Carola Barbero lo fa armata di logica, analisi e molta ironia, accompagnando idealmente le "ragazze" a distinguere tra apparenza e realtà e a smascherare, lungo il percorso, i buoni dai cattivi ragionamenti sull'amore e molto altro. Non è filosofia, questa? Prendiamo una delle domande con cui Carrie apre la sua rubrica: "Le donne possono fare sesso come gli uomini?", ovvero, chiarisce lei stessa a Mr. Big nel loro primo incontro, gli uomini che "fanno sesso e poi non provano nulla". Se applichiamo il ragionamento sillogistico per cui la conclusione discende dalle premesse, dovremmo dire che, se tutti gli uomini fanno sesso senza sentimenti e Mr. Big è un uomo, anche lui fa sesso senza sentimenti. Ma quando Carrie glielo domanda direttamente, l'interessato risponde «No, proprio per niente» e noi diamo per scontato che sia sincero (filosofia a parte, possiamo non credere a Mr. Big?). Insomma, perchè questo ragionamento porta la protagonista sulla strada sbagliata e la fa soffrire per novantaquattro episodi, sei serie e molti uomini transitori? Perchè, spiega Barbero, la premessa è falsa, quindi anche se tutto fila da un punto di vista logico, la lascia con l'amaro in bocca perchè non ha imparato niente sugli uomini e su Mr. Big in particolare.
Carrie e Mr. Big nel giorno del matrimonio mancato
Certo, non tutte le premesse da cui prendono le mosse le rubriche di Carrie sono sbagliate, ma è proprio lo scarto tra il ragionamento ferreo, la logica inoppugnabile, e l'imprevedibilità delle cose, che ha tenuto incollati al video milioni di spettatori. Sarà vero, come ha dichiarato lo scrittore Antonio Scurati in un'intervista televisiva, che «"Sex and the City" è la bibbia del nichilismo contemporaneo»? Cioè che, per donne libere e liberate, tra un paio di "Manolo" e un uomo non c'è più o meno nessuna differenza? O sarà vero il contrario, cioè che se quattro amiche, realizzate, in carriera, piene di diritti e possibilità, se ne vanno per sei serie e novantaquattro episodi nient'altro che alla ricerca del principe azzurro e dell'amore eterno, anche il femminismo, come Platone e Aristotele, è stato fatto a pezzi dagli
stiletto? È proprio questa l'accusa che muove Miranda a Charlotte, quando quest'ultima, brillante gallerista, decide di mollare il lavoro per restare a casa, fare la moglie e possibilmente la mamma. Ma Charlotte, la Biancaneve di Park Avenue, le risponde invece come una perfetta femminista di terza generazione: le battaglie delle donne ci hanno dato la possibilità di scegliere, e non ci sono scelte sbagliate o giuste in senso assoluto. Come, in senso assoluto, non è un valore il matrimonio, nè un disvalore la relazione occasionale o la scelta della carriera.
Scegliendo, però, si sbaglia. Ecco perchè si è sole, indecise, a volte tristi. E si fa paura agli uomini come Scurati. "Sex, sadness and the City".
Il femminismo ha vinto, meglio brindarci sopra con un Cosmopolitan.
@boria_A
Un brindisi col "Cosmo"

martedì 15 giugno 2010

MODA & MODI: lui alla prova del costume

Se fossimo in una puntata di "Sex & The City" Carrie comincerebbe la sua rubrica con una domanda del tipo: "Esiste per gli uomini la prova costume?". Risfogliamo freneticamente le pagine delle riviste femminili e dei magazine degli ultimi due mesi: diete, disintossicazioni, ringiovanimenti della pelle, beveraggi per essere toniche, fresche, energetiche, per sprizzare benessere (e, messaggio sottinteso, per essere guardabili) sulla spiaggia. Tutto tristemente di genere, un bignami di consigli pre-estivi dedicati esclusivamente a lei per affrontare con maggiore serenità il giudizio dello specchio e gli occhi altrui. La prova mutanda, per lui, semplicemente non esiste. Neppure una mezza paginetta o un servizio tv per consigliare anche agli uomini di guardarsi per bene e poi decidere magari di allungare, coprire, allargare. Un momento di assoluta onestà con se stessi altamente indicato dal costume più di moda: i famigerati slip, insidiosa riscoperta dell'estate 2010. Qualcuno, per la verità, non li ha mai abbandonati, soprattutto le
generazioni dagli "anta" in su, stessa spiaggia stesso mare e pure stesso stabilimento cittadino, che stagione dopo stagione si ripropongono con le mutandine scolorite, un po' cadenti, non contenitive, incuranti del tempo che passa, per la lycra e per i loro glutei. La prova costume, se anche al maschile fosse un argomento di diffuso intrattenimento vacanziero e una pratica consueta, sanzionerebbe senza pietà gli slip quando la pancia avanza, quando il sedere frana, quando le cosce non sono più nervose. Ma la balnearità, come la palestra, per gli uomini continua a essere un porto franco del gusto, una specie di zona grigia dove regnano regole mobili e una buona dose di autoindulgenza, non importa se gli indumenti sono provati dai lavaggi e dalla salsedine, se ti trasformano in un würstel poco appetitoso, se sono stati acquistati tre taglie prima. Soprattutto, se il fisico e l'età suggeriscono misure, dimensioni, colori più clementi. Slip, dunque, come i triangolini del reggiseno: solo per adolescenti privi di rotoli e maniglie. Quasi quasi sarebbe meglio relegarli alla prima infanzia, con la paperella sorridente disegnata sul sedere. E altrettanto vale per quei boxer che scivolano sulla passerella incollati a esemplari maschili da manuale e che poi, trasportati sull'uomo comune, seppure mediamente curato, pendono, si afflosciano o assumono singolari protuberanze dove non dovrebbero. C'è poi, dalle parti dell'adolescenza, chi ama affrontare la spiaggia vestito e si cala in bermuda tubolari che arrivano fino a metà polpaccio, superaccessoriati di tasche e lacci e invariabilmente abbinati a scarpe da ginnastica con carroarmato, così da trasformare qualsiasi minima attività in un'esperienza da camera a gas, per sè e i vicini.
In fondo, è saggio mantenere qualche piccolo freno inibitorio. Perchè un colletto bianco, nella vita quotidiana impeccabilmente coperto, riscopre molto lontano da casa i fantozziani slip ascellari? Basta un paio di semplici calzoncini, di media lunghezza, nei tessuti tecnici che si asciugano in un battibaleno, per salvarsi dal ridicolo a ogni età. E da quei commenti ai quali le signore, come alla prova costume, sono ahimé abituate.
@boria_a

martedì 1 giugno 2010

MODA & MODI: vestiti per la spiaggia

La discesa alla spiaggia evoca in voi l'immagine di semplici abitucci di garza e ciabattanti flip flop di cui liberarsi con un gesto solo? Allora non potete barare: avete superato da un bel po' la generazione degli "enta". Dei vestiti a fiori, degli zoccoli, dei tessuti naturali e del mare come suprema, anelata, irrinunciabile stagione di libertà e liberazione. Adesso, al mare, si va vestiti. Anzi, bardati e dalla testa ai piedi. Dal copricapo raffinato al tacco importante, dall'accessorio alla giacca, gli stilisti ci propongono da qualche anno la "beach couture", un look da mare che di marino non ha quasi più niente. Così per solleticarci a spendere qualche euro bello intero prima dei sempre più anticipati saldi, prendono a prestito pezzi del guardaroba evergreen e ci costruiscono intorno il cosiddetto "all round": "booties" a rete (sempre loro, gli orridi, riciclati tronchetti che ci perseguitano da quest'inverno, "rinfrescati" dal buco in punta...), stivali di corda, calzari da schiava, cappelloni da diva anni '50, occhiali giganteschi, orecchini pendenti e una sfilza di braccialetti a prova di qualsiasi tentativo di abbronzatura, per finire addirittura con un trench impermeabile, sia mai che sotto l'ombrellone ci colga un improvviso rovescio di pioggia.
Insomma, il bikini è solo l'inizio. Anche perchè è ridotto a tre triangolini dai colori aggressivi, già sconsigliabili a chi ha oltrepassato la soglia dell'adolescenza. O l'intero, che l'estate 2010 preferisce senza bretelle, in modelli fascianti da suggerire caldamente solo a seni, naturali o additivati, a prova di forza di gravità. Strapless, dunque, e nero, con decori, pietre, catenelle e soprattutto borchie, perchè sulla sabbia la prima preoccupazione pare debba essere il glamour, altro che il relax. Non mancano, come sempre, i "cut-out", ovvero quei pezzetti di lycra indecisi se essere un due pezzi o un integrale, aperti all'altezza dell'ombelico, tagliati sui fianchi, ridotti a slip e reggiseno congiunti da una strisciolina che divide in due la pancia, costumi da sfizio, da cocktail, soprattutto da sostituire rapidamente per evitare l'effetto pelle pezzata. Le infradito? Scordatevele. Anzi, mischiando gli estremi, le ciabatte che i presidi in questi giorni bandiscono dalle scuole, si portano con l'abito da sera, come hanno fatto molte attrici anche sugli ultimi "red carpet". Con il costume più di tendenza ci vuole invece il tacco, e che tacco, almeno un dieci centimetri da piantare sulla sabbia e su cui esercitarsi a caracollare con eleganza quel tanto necessario per raggiungere la sdraio. Il sandalo, consoliamoci, slancia molto. Slancia molto meno, purtroppo, il tronchetto, che qualche stilista ha abbinato pure al calzettone nero fino al ginocchio, un po' sadomaso, in particolare per le dirette interessate. Completate il tutto con un cappello esagerato, una borsetta capiente solo per la pelle di daino dei vostri mega-occhiali e un blazer da sera, in modo da saltare dalla spiaggia all'happy hour aggiungendo solo qualche trasparenza qua e là. Come le quattro di Sex & The City 2 nel deserto, addobbate da alberi di Natale: più che chic, shock. E pure un filo ridicolo. (con una precisazione: al mare mai così, mentre a vedere il film noi fedelissime non rinunciamo comunque, pur sapendo che saranno 145 minuti di devastante delusione...).
@boria_a
Carrie, Samantha, Miranda e Charlotte in "Sex&TheCity 2"

 IL LIBRO
 

Luca Scarlini, la passerella dei Papi

Il diavolo forse lo fa, il papa è certo che no. Veste Cristo, non Prada. E il rosso non è una sulfurea tentazione fashion, ma il colore del martirio. Si muove addirittura l'Osservatore Romano, con una perentoria e inedita smentita modaiola, a far chiarezza sulle calzature di Benedetto XVI e sul deplorevole caso dell'erronea attribuzione. Nel giugno 2009, con un articolo vergato, e pare proprio che il diavolo ci metta la coda, dal teologo Juan Manuel de Prada, il giornale vaticano gela i "rumors" sulla griffe ai piedi di papa Ratzinger, ghiottoneria per i giornali e i blog di tutto il mondo. Un fiammeggiante paio di mocassini laureato "accessorio dell'anno" dalla rivista Esquire e firmato non da Miuccia (ben guardatasi dal fugare i dubbi, anzi), ma dalla ditta novarese di Adriano Stefanelli, solida e sconosciuta ai più, che si occupa di altre estremità preziose, come quelle di Barack Obama.
Papa Ratzinger papa glamour, a dispetto dell'apparente severità teutonica? Tutt'altro che un sacrilegio. Se non calza Prada, veste Gattinoni e si protegge dal sole, come paparazzato nella prima visita al Quirinale, con gli aggressivi e fascianti occhiali Serengeti, sponsorizzati da Val Kilmer e poi da Alain Prost.

La sua ascesa al soglio ha coinciso con uno "svecchiamento" del guardaroba e dei fornitori: eliminata la sartoria pontificia Annibale Gammarelli, che prendeva le misure a santità di ogni taglia dal 1793, l'incarico è conferito alla più moderna Euroclero della famiglia Cattaneo, con una sede strategica di fronte alla Congregazione del Sant'Uffizio, di cui il futuro pontefice è stato commissario per venticinque anni.

Sete, damaschi, ricami, collane, scarpe pregiate. Il potere della Chiesa si fonda anche su abiti e accessori, in una suggestione estetica studiata nei secoli per imprimersi nella mente sia del fedele che del distratto. Almuzia, amitto, cappa, casula, cocolla, falda, pianeta, rocchetto, tunicella, velo, zucchetto: chi, oltre al clero, riesce a riempiere un intero dizionario con le vesti che scandiscono riti e quotidianità, occasioni benefiche o mondane?


 
Papa Ratzinger con le scarpe di Stefanelli nel viaggio in Usa (Adnkronos)
Entrare nel guardaroba dei papi è un viaggio affascinante, che racconta i fasti dell'eleganza vaticana insieme ai vezzi e alle debolezze dei successori di Pietro, rispettosi di un codice vestimentario scolpito nei secoli ma altrettanto attenti a giocare coi dettagli.

 Quando si tratta di abbigliamento, non c'è ecumenismo che tenga. Sono "Sacre sfilate", come s'intitola l'intrigante saggio del giornalista e drammaturgo Luca Scarlini (Guanda, pagg. 178, euro 12,00), un posto in prima fila davanti alla passerella rutilante che va da Pio IX, il nobile scapigliato Mastai Ferretti, a Benedetto XVI, entrambi amanti del bianco ton sur ton: l'uno in posa fintamente bonaria, per le prime foto, al Concilio  Vaticano I (dove si discusse, peraltro, dell'infallibilità del pontefice e la principessa Sissi fu liberata dall'assalto della folla come una rockstar), l'altro nell'amata Val d'Aosta in berretto da baseball e giacca a vento abbagliante, unico capo in continuità con Wojtyla, papa globetrotter e superstar.

L'armadio un po' come il buco della serratura. Chissà le facce dei domestici alla vista di Leone XIII, papa Pecci, nobile di campagna, che in gioventù amava cacciare gli uccelli al roccolo e, più tardi in Vaticano, comparire a ore improbabili con il suo completo da notte, calze, mutande e camicia di finissima flanella bianca, in perfetta uniformità di tinta. È stato il papa finora più longevo e uno dei più prolifici in fatto di encicliche (ben 86, tra cui la Rerum Novarum), oltre ad affrontare crisi internazionali impegnative come la guerra di Cuba, che lo vedevano assumere atteggiamenti marziali ispirati al padre militare. Gli piacevano le interviste e sapeva bene che il pontefice doveva sempre proiettare un'immagine di sè al meglio della forza fisica. Per questo, canuto ma con vista ancora acuta, non appena incrociava un estraneo si affrettava a liberarsi del bastone dal pomo d'oro e a riguadagnare la posizione eretta. La sua fu la prima voce papale registrata su disco: ci pensò la "His Master's Voice" che nel 1903, anno della morte, si recò a Roma per catturare una benedizione del santo padre e i vocalizzi di Alessandro Moreschi, l'ultimo dei castrati.


Ritorno al nero e alla tradizione col proletario Pio X, al quale la mamma sarta aveva inculcato la precisione negli abiti (e lui non si separò mai dal modesto orologio di nickel su cui aveva visto scorrere gli ultimi istanti della sua vita...), mentre il bianco "politico" e "pacifista", senza orpelli, caratterizza il successore Benedetto XV, che tanto si battè, inascoltato, per la fine della prima guerra mondiale.


Curiosamente, abiti e tessuti entrano nella vita "secolare" di molti pontefici, in particolare in quella di Pio XI, papa Ratti, il cui amore per i materiali di pregio gli derivava da padre e zii, tecnici di filande e commercianti di stoffe con l'Oriente. Maniacale nella cura dell'aspetto e del dettaglio (con D'Annunzio, un modello per il giovane Duce...), non faceva concessioni all'inappuntabilità dell'abbigliamento, coadiuvato dalla fida governante Teodolinda Banfi. Ne fece le spese perfino Gandhi, il cui "dhoti", l'abito tradizionale che tesseva da solo e con cui visitò Mussolini, non venne ritenuto consono a un'udienza pontificia.

 
Pio XI, Papa Ratti, amante e attento ai tessuti di pregio
Moda e showbiz sono tra le cure principali del "pontefice della guerra", Pio XII, che fin dall'infanzia aveva indossato abiti lussuosi, come testimonia un'immagine del piccolo Pacelli a sei anni, calato in una sottana già ecclesiastica, secondo le abitudini dell'aristocrazia nera. Che scena, in Vaticano, quando con la regia di suor Pascalina, l'ingombrante e discussa sorella bavarese che curava agenda e immagine del pontefice, l'intera maison delle sorelle Fontana invase le sacre stanze. Centinaia di sarte in bianco, mannequin, vendeuse, premiere in nero con velo di pizzo, magazzinieri e ragazzi delle consegne, ascoltarono Pacelli parlare di moda e decoro, proprio mentre Ava Gardner impazzava sulle riviste con il celebre "abito cardinale" delle Fontana, per 

l'epoca piuttosto trasgressivo.
 I lussuosi abiti di Papa Pio XII
 


Con Giovanni XXIII e con Paolo VI, che nel 1966 dà il via libera al  clergyman, osteggiatissimo dai conservatori, il guardaroba vaticano entra nell'era moderna. Finito il "cesarismo" di Pio XII, tramontata la ieraticità papale, ridotta la pompa vaticana a dimensioni più umane, la chiesa interrompe il circuito di separazione e distacco con la gente. Il "papa buono", che tutti ricordano per l'immediatezza del contatto, i termini semplici, il continuo richiamo all'infanzia, è in realtà il primo pontefice totalmente televisivo, il primo a uscire da Roma dai tempi della breccia di Porta Pia e a capire la dirompenza del viaggio come veicolo comunicativo. Un acuto mediatore tra antico e moderno, che alle soirée mondane rimproverava le signore troppo scollate e intanto promuoveva quel Concilio vaticano II che rimane il più grande défilé sacro del '900, una parata di fogge e colori, dall'Oriente all'Occidente. Ricami, ori, simboli: strumento di controllo perfetto e pervasivo.

Il cerchio si chiude con Wojtyla, papa cavatore di pietra, papa sportivo, papa attore, papa letterato (nel suo "La bottega dell'orefice" la protagonista, Teresa, alterna misticismo e ricerca di calzature fashion, col tacco alto, nei vuoti negozi polacchi del socialismo reale...). Ma soprattutto papa superstar, e unico che consente un film sulla sua vita: la rappresentazione di sè è planetaria, accentuata da vesti sempre immacolate e rese ancora più abbacinanti dal nuovo strumento di incontro con le folle, la trasparente papamobile.
Per lui, le riviste americane usano il termine "fop", un dandy in cui l'eleganza diventa tratto morale. Al teatro alla Scala, nel maggio '83, abbagliante come una visione, ruba la scena a un istrione come Riccardo Muti. Nell'ultima apparizione, al funerale, evento globale per antonomasia degli ultimi decenni, il volto distrutto dalla malattia spicca sullo sfondo di una pianeta scarlatta. Il rosso del martirio che, di lì a poco, ritroviamo sulle controverse scarpe di Benedetto XVI.

twitter@boria_a

Papa Wojtyla sulla Papamobile a Cuba il 24 gennaio 1998 (foto da Termometro Politico)