martedì 30 novembre 2010

MODA & MODI: c'è Kate e Kate

 Kate quando era ancora la "signorina" Middleton
Povera Kate, con quegli incredibili cappelli come dischi volanti, che tra qualche mese avrà la ventura di atterrare, insieme al suo borghesissimo sangue, tra i velenosi e appannati Windsor. Se già le future spose sono sotto stress, figurarsi lei, placida ragazzona figlia di miliardari fattisi da sè, che dovrà reggere il confronto con la suocera icona, quella Diana del cui fascino, nel figlio, nonostante gli incoraggianti tentativi della stampa, è difficile trovare la benchè minima traccia. Il guardaroba della signorina Middleton, di qui ad aprile, sarà il più scrutato del pianeta, ogni sua scelta registrata, ogni sua preferenza agognata da pletore di stilisti in cerca di quindici minuti di notorietà. E ogni suo passo falso passato al microscopio, come quando, ancora nemmeno promessa a William, lasciò intravedere la lingerie nera sotto il vestito trasparente a una sfilata benefica o comparve, a un altro evento caritatevole (autentiche trappole, dal punto di vista delle cadute di stile...), in un incredibile mix di giallo, turchese e rosa, da sesto power ranger.
"Classic and cool", scrive la stampa britannica, un po' come noi diciamo "sportivo ma elegante" per definire abbinamenti piuttosto sbiaditi, dove nulla colpisce e l'insieme, anonimamente ineccepibile, rientra nella più totale e banale prevedibilità. Tutto ruota intorno a "classic": Kate veste adesso come vestirà a cinquant'anni. Décolleté, gonnelline a fiori, impermeabili molto british, mezzo tacco, cappello Ascot con volute e piume: per questo, si scatenano i bloggers, ha resistito già otto anni accanto al futuro re, il che, secondo gli standard degli ultimi Windsor, equivale praticamente al giubileo della regina nonna. Non ci saranno più trasparenze galeotte, insomma, incidente che capitò anche all'imberbe Diana, quando, ancora maestra d'asilo (all'epoca delle prime, incontrollate dichiarazioni del tipo "ho il cervello come un cece"...), fu fotografata controluce e l'orribile gonnona di cotone a fiori rivelò un paio di splendide gambe. La sua futura famiglia, e pare che Kate lo sappia bene, non ama le sorprese, è irritata dalle trasformazioni: se riuscirà a restare sempre discretamente uguale alla se stessa di adesso, si garantirà imperitura riconoscenza e appartenenza alla "firm", la ditta dei Windsor, dove la testa bombata della principessa Anna e la scialba platinatura di Camilla sono da sempre garanzia di affidabilità.
Kate ama la stilista brasiliana Issa, che fa in pratica un solo vestito: blandamente scollato, blandamente svasato, con la cintura che blandamente sottolinea la vita e si allaccia davanti o dietro. Ne ha scelto un modello blu, subito volatilizzatosi nei negozi, anche per l'annuncio delle nozze, riuscendo addirittura a scandalizzare i puristi, che avrebbero voluto qualcosa di più formale, indossato con le calze e non a gambe nude e, soprattutto (come dar loro torto), con un orlo non pendente. Ma ancora una volta Kate non è andata sopra le righe. Elegante e innocua "generic Sloane", una delle tante ricche ragazze londinesi che appartengono alla crema della società, di solida educazione e aspettative matrimoniali. Niente a che vedere con un'omonima connazionale di nuovo alla ribalta, la top model Kate Moss, incoronata da Vogue America come la donna che ha più influenzato la moda negli ultimi dieci anni. Un rischio, è probabile, che la signorina Middleton, futura regina, non corre.
@boria_a

                                                                 Kate Moss (Rex Image)

martedì 16 novembre 2010

MODA & MODI

Riciclo d'arte a Trieste






All'inizio era un bottone, anzi, una montagna di bottoni recuperata da una merceria in chiusura. Poi sono venute le paillette, i ritagli da vecchi abiti smessi, i campionari di tessuti. E uno spazio tutto nuovo dove questi oggetti e materiali, in procinto di essere abbandonati o salvati dal naufragio di passati utilizzi, hanno trovato un'altra vita. E una destinazione diversa. Da complementi sono diventati protagonisti, da parti anonime di un tutto eccoli trasformati in accessori pieni di personalità. Difficili, certo, perchè irresistibilmente originali, poco inclini a "sposarsi" con i loghi, loro che di loghi, in apparenza, non ne hanno nessuno.
Al contrario, Paola Fontana e Roberta Debernardi, le due "creative" dietro al marchio "Studiocinque e altro
(www.studiocinqueealtro.com), per i loro estimatori hanno un tocco inconfondibile. E da quando, dopo produzioni e vendite itineranti o casalinghe, hanno messo radici all'inizio di viale D'Annunzio, lo storico negozio di tendaggi e tappezzerie "Studiocinque", che oggi gestiscono, è diventato un autentico "concept store". "Concept" non nel senso di ammassare disparati oggetti presumibilmente di tendenza senza un filo conduttore, ma "concept" perchè rispecchia la filosofia a tutto tondo delle designer: riciclo intelligente, fantasioso, ironico, manualità e capacità di assemblare consistenze e materiali senza mai essere scontate.

Un negozio che sembra una casa di "ringhiera", un loft strepitoso nel mezzo di un quartiere caotico e multietico, dove ti viene voglia di sederti, guardati intorno, goderti il soppalco, i banconi, i colori, le piante, chiacchierare e scegliere con calma, perchè spille, collane, anelli, cappelli, cinture, borse, complementi d'arredo, pupazzi sembrano soprammobili perfettamente integrati nel tutto, non oggetti passeggeri messi lì solo in attesa che qualcuno li compri.

La collezione invernale quest'anno prende spunto dalla natura, con fiori, farfalle, corolle, tutti inventati assemblando ritagli di tessuti vintage o di campionari di stoffe preziose, sottratti all'uso espositivo per diventare decorazioni. Le spille sono margherite di stoffa lucida da appoggiare ovunque, sul risvolto di un cappotto, su un abito, su una sciarpa: un bottone al centro e i petali verde acido, senape, marrone, rosso antico, con l'effetto nostalgico dei bijoux americani di celluloide degli anni Cinquanta. Spille anche a forma di farfalla con ali a quadri, a pois, nelle stoffe firmate Marimekko, costruzioni perfettamente proporzionate, aeree come origami, che danno l'impressione di spiccare il volo. E poi ci sono le buste di stoffa, trousse e portaoggetti da borsetta, dove il punto croce sul nero o rosso forma scritte ammiccanti, disegni di animali, coroncine. Per i bambini, ma non solo, un'intera famiglia di animali di stoffa e feltro, dal gufo al pesce, dall'istrice al panda, anch'essa nata dal salvataggio di tanti ritagli, riconvertiti in occhi, musi, pinne.


Pezzi unici e contati, perchè qui la produzione è davvero "slow" e, per restare in tema, "a chilometro zero": sul mio cappello da dignitario c'è un inserto da un paio di vecchi pantaloni di Paola. Il segreto di questi accessori? Un'aristocratica semplicità, modernissimi perchè fatti di cose abbandonate, o vecchie, e piene di storie di altri.


twitter@boria_a



Spille di tessuto, la modella è Mariaondina (www.studiocinqueealtro.com)

martedì 2 novembre 2010

MODA & MODI: Michelle Obama non salva i suoi beniamini


Michelle Obama nell'abito di Maria Pinto (Charles Ommanney/Getty Images)
Chi non ricorda il vestito rosso e nero indossato da Michelle Obama nella "victory night" di Chicago, il 5 novembre 2008, un modello entrato nella storia insieme al nome del suo creatore, lo stilista messicano Narciso Rodriguez? O il giallo firmato dall'americana di origine cubana Isabel Toledo, con cui la first lady, commossa e maestosa, attraversò Washington il 20 gennaio 2009? O ancora l'abito bianco, che lasciava scoperta una spalla, scelto per il gran ballo del giorno dopo, che riscattò in pochi secondi dall'anonimato il designer taiwanese Jason Wu, incoronandolo sulle pagine di tutti i giornali del mondo? Dall'accettazione della candidatura da parte del marito - che Michelle salutò in una guaina ciclamino firmata da Maria Pinto - agli appuntamenti di Stato soprattutto del primo anno dell'era Obama, ogni capo sfoggiato dall'inquilina della casa Bianca ha occupato siti, riviste, quotidiani del pianeta, trasformandosi per i relativi creatori in altrettanti spot di portata planetaria. Chi aveva mai sentito parlare di Prabal Gurung prima che Michelle indossasse un suo vestito rosso bollente alla cena con i corrispondenti dalla Casa Bianca, il 1° maggio di quest'anno? Nessuno: eppure il giorno dopo il sito dello stilista era intasato e negozi che non l'avevano mai degnato di attenzione, agognavano improvvisamente di appendere agli attaccapanni i suoi modelli.
Dell'immenso business pubblicitario legato alla signora Obama, e delle sue ricadute economiche sulle vendite di certe griffe, si è occupato piuttosto seriamente il New York Times, chiedendosi, all'annuncio dell'improvvisa chiusura dell'impresa proprio di Maria Pinto, se le preferenze della first lady si trasformino davvero in dollaroni per gli stilisti. Conclusione non automatica: tant'è che la stessa icona per eccellenza del guardaroba della signora, l'abito rosso e nero della vittoria, dagli iniziali 4.400 dollari veniva poi "regalato" sul sito del magazzino del lusso Bergdorf Goodman a  1.500. Insomma, Michelle "influenza" lo stile, non promuove gli stilisti. Il dibattito è destinato a riaccendersi ora che un altro suo beniamino, il texano ex-surfista Tracy Feith, è sull'orlo del fallimento e non riesce a pagare l'affitto delle boutique di New York e Long Island. A lui si deve il vestito nero con stampe a fiori e uccelli - brutto - per il Wednesday's  National Prayer Service, l'incontro di preghiera al quale tutti i neopresidenti americani partecipano con la consorte appena insediati. Un appuntamento, dal punto di vista mediatico, non proprio glamour, ma di qui a  chiudere bottega ce ne corre. Cos'è cambiato? Anzi, com'è cambiata l'America a un anno e undici mesi dalla notte vestita da Rodriguez? "La first lady ha il merito di aver democratizzato la moda", commentavano allora gli osservatori del costume, promuovendo qualche sporadico golfino da grande magazzino di Michelle e bocciando il "total griffe" di Sara Palin, ex governatrice dell'Alaska. Ma ora Obama è in affanno e la Palin, proprio lei che veniva stroncata per aver speso 150 mila dollari per il guardaroba elettorale, guida il recupero repubblicano conquistando la gente con frasi fatte, tea party e talleurini legnosi. La crisi economica è spaventosa, investe anche gli stilisti. Se davvero era Michelle a tenerli in piedi, non basta più.
@boria_a
Michelle Obama rosso fuoco firmato Prabal Gurung alla cena dell'associazione corrispondenti della Casa Bianca, il 1° maggio 2010 (foto Sutra Jewels, che firma il bracciale dorato)