martedì 27 dicembre 2011

MODA & MODI: con un teschio al collo
  
Tendenza non è più, caso mai un divertissement che va avanti da molte stagioni, con vibrazioni sempre diverse. Quella di quest'anno non può che essere irriverente, ironica, ammiccante, come se coprendoci di simboli mortiferi scongiurassimo altre perdite, a cominciare da quelle del portafoglio. Spensierata skull mania, dunque, uno sberleffo ai lutti economici grazie a un esercito di teschi e teschietti non più disseminati solo sulle t-shirt gothic, ma diventati orecchini, collane, anelli, braccialetti, cerchietti per i capelli, decorazioni per le scarpe e per i tacchi. Un simbolo che nella moda è ormai del tutto slegato dall'idea della morte o del pericolo imminente e associato piuttosto al clima buffonesco e scanzonato di Halloween, al punto da ritrovarselo perfino sull'abbigliamento per neonati. Un brivido "morbido", una trasgressione col freno a mano, che le ragazzine snobbano e apprezzano piuttosto le signore negli "anta", prontissime a calarsi nelle bambinesche felpe di Hello Kitty versione "death", con il fiocchetto rosa che campeggia sopra un cranio da cartone animato, fosse anche solo per la palestra. I teschi sono sempre stati un marchio irrinunciabile per Alexander McQueen, profusi sui foulard e utilizzati come chiusura delle sue preziose clutch, oggi nei siti a prezzi pre-crisi, e che in questa stagione ritornano in punta alle altissime pump blu elettrico, ornamento da gran sera, risciacquati da ogni inquietudine e trasformati in preziosità. Prima di lui erano stati John Richmond e PhilippPlein a piazzare teschi sui giubbotti da rocckettari, su ballerine, scarpe da ginnastica e abbigliamento da bambini, a riprova che, più che la paura, il simbolo dei pirati evoca l'avventura. Poi sono arrivati gli irriverenti, e furbi, teschi gioiello di Delfina Delettrez, che fanno il paio con le ossa umane trasformate in monili della collezione Anatomik, e che portano agli estremi l'utilizzo dello scheletro come accessorio per spiazzare, sempre in chiave ludica. Il teschio, che Damien Hirst ha tempestato di brillanti e trasformato in qualcosa di tutt'altro che caduco, valore 100 milioni di dollari, ce lo mettiamo addosso con leggerezza, quasi un portafortuna.
@boria_a
Orecchini della designer Julie Sion (Retrobottega, Trieste)

martedì 29 novembre 2011

MODA & MODI

Segnali di crisi da borsetta

L'altezza dei tacchi e il contenuto della trousse da borsetta: ecco dove cercare i più attendibili indicatori della recessione. Stiletto vertiginosi e nuove nuance per il make up sollevano il morale quando non rimane molto altro su cui scialare.

Ma le certezze del passato vacillano, proprio sui tacchi. Le scarpe col plateau sostennero le signore attraverso la Grande Depressione, le accompagnarono nelle camminate imposte dalla crisi petrolifera degli anni Settanta e, in tempi più vicini a noi, le confortarono durante il tracollo delle società informatiche.


Ora, invece, la crisi economica planetaria suggerisce di appiattirsi piuttosto che svettare e quindi, all'insegna della conclamata sobrietà, si impennano solo le vendite dei tacchi Merkel, un kitten heel, una spartana e quadrata mezza misura. A ricordarcelo è nientemeno che l'Ibm, impegnata a monitorare le conversazioni sulle scarpe dei più famosi blogger per promuovere i suoi software e i suoi servizi di consulenza: a sondaggio concluso, pare che i tacchi siano piombati dai 22 cm del 2009 ai cinque odierni.
22 centimetri? Davvero nel 2009 infrangevamo le leggi fisiche piuttosto che quelle economiche? La misura non ha importanza, rispondono i sondaggisti, quello che conta è l'andamento generale, ovvero meglio i piedi per terra.


Non va meglio al celebre "lipstick index", l'indicatore inventato nel 2001 da Leonard Lauder, presidente di Estée Lauder, per spiegare come mai le vendite di rossetto crescano quando i conti segnano rosso: in tempi di magra, diceva, la gente preferisce spendere in piccoli lussi accessibili. Dal 2007, però, l'accaparramento di rossetti è in frenata. Sono stati anni così altalenanti che ogni signora ne ha una scorta più che ragguardevole e il lancio di una nuova sfumatura non riesce più a calamitarla davanti agli espositori delle profumerie. Non fermatevi al rossetto, replicano dalla Estée Lauder, è il piccolo cosmetico in genere il termometro del nostro scontento. Guardate le unghie: mai come in questo periodo spopolano nuovi colori, decori, ricostruzioni ardite. Il "nail index" sostituisce il "lipstick index". La vendita di smalti è in ascesa dal 2008, gli artigli curati fanno tirare la cinghia con eleganza. E il fondotinta? Quotazioni in salita. Alla faccia di chi propone di aumentare l'Iva su botox e ialuronico, intanto ci consoliamo con unghie e labbra roventi e con un incarnato a prova di bile.
@boria_a



martedì 15 novembre 2011

MODA & MODI

L'eleganza dell'hostess ci conforta

"Pan Am", serie televisiva prodotta dal 2011 al 2012


Non ne abbiamo ancora visto una puntata, ma sappiamo già di non poterci sottrarre all'influenza dello stile misurato e ingessato delle hostess della Pan Am, come si intitola la nuova serie americana in onda sulla rete Abc, che da noi approderà in primavera: gonna al ginocchio, calze trasparenti, eyeliner, filo di perle e borsetta al braccio.

Un'allure retrò già da tempo in auge grazie alle signore di un altro fortunato prodotto televisivo Usa, Mad Men, con le sue segretarie dai golfini piccoli appoggiati alle spalle, le camicette col fiocco e la figura pennellata a clessidra dalle guaine, anche loro, guarda caso, tornate di moda nella lingerie di stagione (ma guai a chiamarlo "contenitivo", ora l'intimo tecnologico è "shaping"...).

 Le protagoniste delle due storie hanno caratteristiche diverse - le une sono il decorativo fondale di un mondo di uomini, percorse dai primi fremiti di femminismo, le altre pioniere della conquista del cielo - ma il cliché che suggeriscono è lo stesso: discrezione, eleganza sottotraccia, femminilità rassicurante e mai gridata, discreta propensione all'accudimento maschile.
Il tailleur, il cappotto dalle linee pulite e con i bottoni dorati, la mantella, il foulard annodato al manico della borsa, piccola e compatta, il mezzo tacco rimandano alle divise storiche delle hostess dell'Alitalia, firmate dai grandi nomi della moda, dalle Sorelle Fontana a Mila Schön, da Balestra ad Armani, non a caso celebrate dalla nuova collezione di Barbie sfornata dalla Mattel e in mostra a Roma: piccole donne impeccabili, sigillate in una morbida corazza che le difende dalle scorribande e dalla volubilità della moda.

Dalle bambole televisive o di plastica agli abiti in passerella, si scava con accanimento nel passato. Un'operazione nostalgia che in questa stagione piena di minacce conforta piuttosto che infastidire, quasi che i reperti dei tempi dell'eleganza consolidata, del "less is more" nei vestiti e nei modi, ci aiutassero a uscirne indenni. I power suit della nomenklatura, come il tailleur con minigonna della primogenita Berlusconi immortalata su un quotidiano nei giorni della disfatta paterna, le scollature verticali delle parlamentari dello spettacolo in fuga, sembrano adesso semplicemente importabili. Come le imbottiture che, almeno dalle spalle, si possono togliere.
@boria_a


Le hostess di "Pan Am" in libera uscita

MODA & MODI: con lo yeti ai piedi

Sono ricomparsi anche quelli che credevamo di aver per sempre sepolto tra gli orrori degli anni '70, e poi nelle varie, cinepanettoniche "Vacanze a Cortina" natalizie: i moon-boot pelosi. Trent'anni fa le propaggini dello yeti sembravano confinate alle passeggiate cortinesi delle signore più aggiornate, oggi minacciano di invadere le città, intruppate tra i tanti modelli di stivali degli ultimi decenni riesumati e aggiornati. Poco importa che quei Barbapapà di pelo dove infilare metà del polpaccio fossero guardabili solo dal metro e ottanta di gamba in su (soprattutto se in abbinamento ai vecchi pantaloni da sci, rigidi, legnosi, per niente tecnici...), perchè gli stilisti ci hanno aggiunto un bel paio di tacchi a stiletto, che slanciano.
Da ranchera, a metà coscia tipo Pretty Woman prima della trasformazione, bassi e cinghiati da motociclista, altissimi e superaccessoriati, con applicazioni di rose, inserti di velluto, passamaneria, pizzo, infiocchettati o dotati di catenelle e borchie: gli stivali sono la calzatura per far galoppare la fantasia in quest'inverno non ancora iniziato, ma dalle svendite precoci.
Più sono preziosi, più sono fetish. Fendi li trasforma in una ricercatezza da sera, in jais e canottiglie di vetro a motivi tropicali, da indossare con un monacale vestitino nero. Perchè lo sguardo si deve concentrare solo sulle estremità, che Chanel rende interminabili e guantate fino alla coscia, Richmond valorizza sul tallone, con l'immancabile mezza-griffe per logo-dipendenti, Guess impreziosisce con inserti di pitone, Geox rifinisce con le cinghie da motociclista, e Manolo Blahnik, il calzolaio delle stelle per eccellenza, infila in stivaletti texani superlussuosi, per le cow-chic.
Tornano anche le galosce antipioggia, coloratissime e tecnologiche, che fanno tanto scolaretta sguazzante nella pozzanghera ma costano centinaia di euro (per la cronaca uno dei modelli high-tech più accessibili è quello di Stonefly, in vernice con suola a contrasto, 90 euro).
Tra le prime, a rinverdire le galosce, ci aveva pensato Vivienne Westwood, in occasione della retrospettiva-omaggio che il Victoria & Albert Museum di Londra le aveva dedicato nella primavera dell'anno scorso. Tra i gadget sfornati per la mostra, gli stivali di gomma nei colori dei suoi famosi tartan, soprattutto nell'inimitabile azzurro. Allora sembravano una bizzarria un po' kitsch, oggi si portano per divertimento, anche senza nuvole in giro. 
Le psicologhe della moda invogliano all'acquisto dello stivale rassicurandoci sul fatto che in un unico accessorio si condensano potere e sottomissione, entrambi graditi all'uomo. La donna si appropria della calzatura maschile per eccellenza, la scarpa dei soldati, dei cacciatori,
dei possidenti, ma la indossa come la Julia Roberts di Pretty Woman indossava le sue cuissardes nere: per provare a suscitare, o a resuscitare il piacere maschile. 
Dominatrice e schiava, vecchio, immutabile gioco.

@boria_a

martedì 1 novembre 2011

MODA & MODI
 
Hillary sdogana lo scrunchie
 
 

 

«Nessuna donna chic si farebbe sorprendere, manco morta, in un ristorante di Manhattan con uno scrunchie». Lo dice Carrie Bradshaw in un episodio di "Sex and The City" all'allora fidanzato scrittore Berger: nel suo ultimo libro c'è un errore madornale, un'autentica contraddizione, ovvero l'aver messo in testa alla protagonista quel mesto elastico ricoperto di stoffa, che, al più, può essere utilizzato in bagno, mentre ci si lava la faccia davanti allo specchio.

La storia tra i due s'incrinò all'istante, lasciando un piccato Berger a interrogarsi su perchè mai quell'innocuo pezzetto di tessuto potesse identificare senza appello una provenienza extranewyorkese.
Già il suono, scrunchie (viene dal nome del cane della signora che lo brevettò), in inglese rende l'idea di qualcosa di grossolano e ordinario, irriproducibile in italiano, dove il "fermacoda in tessuto" della traduzione ha anzi una ridondanza che fa immaginare un vezzo quasi aristocratico.

Eppure, quel pezzo di archeologia degli anni '80, che il New York Times all'epoca bollava come "striscia di gomma indossata in tivù dagli insegnanti di aerobica", sta tornando in auge.
Che cosa dirà, adesso, la Carrie della maturità davanti allo sdoganamento dell'aborrito accessorio da parte di Hillary Clinton, signora sempre attenta a quello che si mette in testa: eccola, mentre parla ai giornalisti accanto al primo ministro peruviano, con pesanti orecchini d'oro, una spilla a forma di ranocchio sulla spalla e la chioma trattenuta da un inequivocabile "scrunchie" nero. L'aveva già fatto, mesi fa, scendendo dall'aereo a Madrid con i capelli incrocchiati in un abbacinante disco di stoffa bianca. Non era confusione da jet-lag, ma una vera e propria scelta fashionista, che condividono altre signore sempre più o meno in lista tra le meglio vestite del mondo.
 
 

 
 
Sienna Miller e Catherine Zeta-Jones, per esempio, non si fanno problemi a indossarlo e non sul tapis roulant ma impellicciate e con occhiali da diva mentre fanno shopping.

Il popolo del web si divide: non spezza i capelli, dicono le favorevoli, lasciamolo alle ginnaste, rilanciano le contrarie. Intanto gli scrunchie sono tornati a penzolare baldanzosamente in molte profumerie, un reperto naufragato fino a noi dagli anni della tonificazione e della bolla di entusiasmo.
@boria_a

 

 



martedì 18 ottobre 2011

MODA & MODI: collant da lato B

Coprenti, velate, a rete. Purchè niente gambe nude. Un bel sollievo per le signore inglesi e americane, convinte che il massimo dello chic da sera sia caracollare in pieno inverno sugli stiletto con i polpacci illividiti dalla temperatura polare. L'epidermide esposta quest'anno non è di moda. Sarà che ci potremo sfogare solo su ammenicoli e accessori, ma i designer delle calze hanno dato libero sfogo alla fantasia. Le patite della gamba completamente oscurata, hanno di che sbizzarrirsi: autoreggenti o collant maculati, da pantera urbana, bicolori stampati a macro pied de poule, a coste in maglia melange. Impazza nelle vetrine la gamba color zucca, tinta della stagione, consigliata solo a chi ha caviglie sottile e polpacci affilati, altrimenti l'effetto sarà per l'appunto quello della cucurbitacea. La burlesque-mania si fa sentire nel ritorno della famigerata riga posteriore, bianca sul velato nero opaco, nera sulla trama di pizzo, consigliata a chi ha senso critico nel valutare le proprie estremità e sa dissimulare alla perfezione quel fugace contorsionismo indispensabile a riposizionarla. Nostalgia Betty Boop anche per le calze a rete, a trama larga, in pizzo o stampate a disegni optical, le più audaci in rosso rubino o nel riscoperto blu notte. Per chi non ha mai smesso le trasparenti, come l'aspirante regina Kate, costretta a indossarle per protocollo, la novità è degna di nota: collant modellanti e soprattutto resistenti alle smagliature. Finalmente ci si può muovere in libertà senza il terrore della comparsa della insidiosa "run", che non a caso corre in un battibaleno da coscia a caviglia, con un fastidioso effetto sciatteria. Grazie alla fibra Lycra Fusion è possibile scongiurare i buchetti sulla maglia e conserare l'idea del nudo, in talune circostanze portatrice di un non secondario messaggio seduttivo. Ma cercate bene negli scaffali: ci sono modelli che, oltre a essere a prova di strappo, hanno uno speciale corpino a compressione: nessuna "pancera" d'antan, ma un sostegno naturale per fianchi e busto, in modo da sollevare i glutei come un push-up. Calze trasparenti da regina, ma con un lato B modello Pippa, questo sì regalmente consolatorio.
@boria_a
Il lato B di Pippa Middleton (The Hollywood Gossip)


venerdì 14 ottobre 2011

MODA & MODI: i pinocchietti non superano l'esame
  
I pinocchietti? Assolutamente vietati all'esame di maturità. Perchè donano solo ad adolescenti femmine che svettano sopra il metro ottanta, con polpacci nevrili e dirette alla spiaggia. Perchè nei maschi, raramente dotati di caviglia sottile e comprensibilmente poco inclini alla ceretta, a meno di essere aspiranti body builder, mettono in risalto tutto il peggio, dalla selva dei peli alla gambotta piantata nelle zattere da ginnastica.
In entrambi i sessi, quei pantaloni sotto il ginocchio, dal nome ammiccante e dall'effetto perverso, schiacciano la statura, sottolineano l'assenza di stacco della coscia e regalano a dieci metri di distanza un'aria di insopportabile sciatteria. Sono pantaloni a metà, privi della sfrontatezza vacanziera degli shorts e della decorosa compiutezza dei lunghi. Banditi, quindi, per un esame, dove, a dispetto di abiti che non fanno monaci, l’immagine è importante, e lo riconoscono anche designer trasgressivi e contestatori come Fiorucci. Meglio evitare di richiamare l’attenzione su quanto dovrebbe rimanere coperto, anzi, meglio coprire il più possibile, per cominciare a giocare sul vantaggio di un aspetto ordinato e discreto, che predispone all’ascolto senza pregiudizi. I pinocchietti, modello con elastici stringifondo di solito prediletti dai ragazzi, insaccano e dirigono lo sguardo sulle estremità, la parte meno appetitosa di un uomo, tanto più che di solito si portano con gli altrettanto riprovevoli fantasmini. E il pinocchietto con la sua ballerina? Vezzoso, ma poco in sintonia con un appuntamento impegnativo. Da dimenticare l’abbinamento con flip-flop o scarpe alla Lady Gaga. Non migliora la situazione combinarlo con un sandalo, che aumenta la confusione ma non l’eleganza dell’insieme.
Si tratta di occasioni, appunto. E di linguaggio dei capi d’abbigliamento. Se l'occasione è formale, i pinocchietti è meglio confinarli nell'armadio. Non comunicano autorevolezza, solo l'impressione di non sapere bene dove si è capitati e cosa mettersi quando. Un pantalone a metà, indeciso, che non va bene agli esami e neppure nei salotti. Men che meno, azzurri.

@boria_a


martedì 4 ottobre 2011

MODA & MODI: vipere e lumache arruolate contro le rughe

Tempi duri per i rettili. In California un pitone di un metro viene preso a morsi da un uomo, obbligando decine di manuali di giornalismo a riscrivere la logora storiella dell'uomo che azzanna il cane per spiegare ai neofiti che cosa fa notizia. In Europa se la vedono molto più brutta le vipere templari, il cui veleno viene utilizzato dall'azienda cosmetica di lusso inglese Rodial come potente antirughe. Una pennellata di siero ed ecco che la viperaccia si mangia le zampe di gallina , contribuendo a "congelare" i muscoli facciali e a stendere la pelle. Pare che Angelina Jolie, Penelope Cruz e Demi Moore siano delle vere "addicted" della paralisi cosmetica (Demi Moore??? Quella che qualche anno fa aveva speso un'inezia come 700 mila dollari per una "remise en forme"... Dispiaceri del bisturi...) e abbiano contribuito non poco alla fama del magico unguento. Che adesso è stato inserito pure in un'apposita "penna", stile botox da borsetta, per spianare una ruga improvvisa prima che metta radici e diventi un canyon.
E le umili lumache? Un briciolo di simpatia lo suscitano perfino loro, da quando l'industria dell'eterna bellezza ci ha messo le mani sopra per sfruttarne il muco, che contiene un complesso di proteine, acido glicolico ed elastina, con caratteristiche rigeneranti e anti-infiammatorie. Se superate il comprensibile ribrezzo e cercate tra gli scaffali delle erboristerie o delle farmacie le creme Elicina, di origine cilena, potrete sperimentare letteralmente sulla vostra pelle il sollievo procurato dalla saliva di lumaca. Scoperta casuale degli allevatori andini che, maneggiando le chiocciole destinate alle mense francesi, si ritrovarono mani da pianista. Altro che le dive di Hollywood, in materia c'è un testimonial più che autorevole, Ippocrate, abituato a rinfrescarsi con un impacco di lumache schiacciate.
Gli animali striscianti non vi suscitano empatia? Pensate allora che la pecorella, o meglio la sua placenta, favorisce la rigenerazione dei tessuti. L'ha scoperto un medico italiano di stanza nella londinese Harley Street, la via dei maghi della chirurgia estetica. Dopo il trattamento niente acqua per dodici ore e, in tre giorni, grazie alla produzione di elastina e collagene, il viso rifiorisce. Non poteva che chiamarsi Bee-bee, il lifting ovino che è già un tenero tormentone.
@boria_a


martedì 20 settembre 2011

MODA & MODI: fast Missoni, dalla fila a eBay

La bicicletta di Missoni per Target
Code di centinaia di persone, sito paralizzato, tutto esaurito in giornata. La mini-collezione di Missoni per i grandi magazzini americani Target, una catena a basso costo dove, impietosamente, una blogger ripresa dall'Huffington Post dice di comprare solo "assorbenti e dolcetti per il cane", ha registrato un successo ancora superiore ai precedenti casi di "fast fashion", griffe che sfornano piccole collezioni di scarsa qualità per i grandi magazzini. Dopo H&M, che ha scatenato l'assalto al negozio londinese arruolando "colossi" come Karl Lagerfeld, Stella Mc Cartney, Comme des Garçon, Jimmy Choo, dopo Gap che, per il debutto milanese del monomarca, si è affidato ai due eredi di Valentino, la coppia Chiuri-Piccioli, anche gli zig-zag più amati in America hanno prodotto una linea di quattrocento pezzi, dalla cartoleria ai vestiti per l'intera famiglia, passando per tovaglie, porta laptop e biciclette, con un ventaglio di prezzi dai 2,99 ai 599,99 dollari. Preceduta da un bel battage pubblicitario, da cui gli spasmodici accessi all'on-line shop fin dalle sei di mattina, la "capsule collection" Missoni è stata bruciata anche nel grande "temporary store" di Manhattan, un gigantesco negozio a tempo che doveva accompagnare la settimana della moda newyorkese e che ha dovuto chiudere per esaurimento scorte dopo appena sei ore.
In tempi di crisi, però, il fenomeno della "griffe democratica" non ha più niente dello spensierato accaparramento alla "I love shopping". Innanzitutto, l'urgenza: la firma "a scadenza" è una strategia crudele, per creare nell'americano medio, che da mesi custodisce ogni dollaro, una specie di compulsività a comprare il più possibile e in un tempo limitato. E così, ecco le "desperate housewives" in fila per imbustare i propri bimbetti in tutine simil-carcerato con l'inconfondibile riga Missoni. E non solo housewives, se anche l'attrice Busy Phillips, la Laura di "Cougar Town", twittava trionfante: "Ho la bicicletta. Non quella coloratissima, ma sono lo stesso così eccitata...". Già martedì pomeriggio, su e-bay, erano oltre 1.500 lo offerte di prodotti Missoni for Target, rivenduti all'istante a circa il doppio del prezzo. Più che alla marca, la caccia è a qualche cent. O non sarà che se la griffe si "democraticizza" troppo perde tutto il suo glamour?
@boria_a
 La linea baby di Missoni per Target

mercoledì 14 settembre 2011

IL CASO
Pordenone Montanari, il pittore dell'anno che la Biennale ignora
Pordenone Montanari in una rara immagine. L'artista è nato nel 1937
Che si tratti di un "evento straordinario", di un "cadeaux per la città" come recita l'ufficialità del comunicato stampa, non c'è dubbio. Che sia un poco tardivo, però, è altrettanto vero. A due mesi dall'inaugurazione, la Biennale diffusa di Trieste "scopre" di avere tra i suoi ospiti Pordenone Montanari, il "caso artistico" del 2010, il pittore e scultore vissuto da eremita per diciotto anni e paragonato dalla critica internazionale a Picasso e Cezanne. E così, praticamente su due piedi, Pordenoneviene strappato dal suo aureo anonimato al terzo piano del Magazzino 26 e promosso ad artista da superlativi assoluti. Degno di, citiamo ancora il comunicato, "una piccola, ma prestigiosissima personale", "una chicca di altissimo valore internazionale", che è stata allestita al primo piano, accanto alla biglietteria, e che oggi, alle 16, sarà inaugurata da Vittorio Sgarbi.
Non più solo il "Torero nell'arena", l'unico quadro di Montanari, fino a ieri, ammesso alla Biennale ed esposto nella parete più prossima all'uscita sul terrazzo. La regola "un artista, un'opera", applicata dai curatori, ha ricevuto un generoso strappo e il selvatico Pordenone, nato Americo a poco più di un centinaio di chilometri da qui, sarà raccontato da un percorso di quattordici dipinti e otto sculture, per la prima volta esposte al pubblico. Sono arrivate l'altro ieri dal Piemonte, l'allestimento ultimato a tempo record.
La Biennale, per la verità, non ha fatto tutto da sola. A facilitare quest'operazione maieutica è stata la pagina dedicata dal Piccolo all'incredibile storia di Montanari, uscito dal quasi ventennale isolamento creativo della sua villa di Valle San Nicolao, vicino a Biella, grazie al casuale incontro con l'uomo d'affari anglo-indiano Raja Khara, intenzionato ad acquistare quella misteriosa casa con le finestre sempre "oscurate".
Da quel momento, gli eventi hanno preso una piega da film. Khara, una volta dentro Villa Maria, non si è innamorato solo dei muri, ma dell'uomo e del suo immaginario, fermato in centinaia e centinaia di tele e sculture sepolte tra le pareti domestiche, pure quelle affrescate. Ha comprato parte delle opere, ha promosso un fondo con investitori stranieri che ha acquisito i diritti sulle altre, ha coinvolto critici internazionali e ha organizzato la prima mostra di Montanari, nel settembre 2010 all'Istituto italiano di cultura di Londra. Insomma, Pordenone è diventato una storia da copertina sulla stampa italiana e straniera. I critici si confrontano sul suo posto nell'arte del Novecento, i galleristi, quelli che di lui hanno sentito parlare, si interrogano sul valore economico di opere che non hanno mai avuto mercato.
E Trieste? Vittorio Sgarbi lo voleva alla Biennale di Venezia, «ma l'arte contemporanea - dice il critico - deve pagarsi da sè, non può aspettare il sostegno dello Stato». Dunque, rotta verso il Magazzino 26, dove il "Torero nell'arena" è approdato, per corriere, a tre giorni dall'apertura della mostra. «L'ho segnalato io, Montanari - insiste Sgarbi - sarebbe stato grave non inserirlo tra gli artisti regionali degni di memoria».
Solitario, il "Torero". E l'autore, anche per i curatori locali, un vero punto interrogativo. Raja Khara era in vacanza, non ha potuto accompagnare l'opera del suo protetto. A vederla esposta in Portovecchio è arrivato solo i primi giorni di settembre e, pur da diplomatico consumato, non ha nascosto un filo di perplessità.
Da oggi, il "Torero" continua a rimanere nel suo defilato spazio al terzo piano. Ma al primo, a fargli un'ideale compagnia, ci sono, tra gli altri, una "Giovane amazzone", una "Bimbetta con mela", una "Modella nello studio", un "Fratello e sorella", un "Pasto del minatore", accanto a sculture intitolate "Lady" e "Maestro di cappella". Una "mostra nella mostra", per Pordenone Montanari la terza in assoluto nella vita (il debutto davanti al pubblico risale a venticinque anni fa, a Milano, quadri tutti comprati da tre banche), la seconda negli ultimi diciotto anni e la prima in Italia.
«La mostra è fantastica, siamo contentissimi di avere un'intera sala per far conoscere e apprezzare l'artista» commenta Raja Khara, che ha seguito in diretta la preparazione dell'allestimento e oggi sarà alla vernice, al termine della quale sarà presentato il catalogo della Biennale. «I quadri - racconta - li abbiamo scelti insieme, Montanari ed io. Vanno dal 1970 al 2011, in pratica rappresentano quasi tutte le sue stagioni creative. Diciamo che sono una combinazione di tre esigenze: le preferenze di Pordenone, le mie e la volontà di dare di lui l'immagine più completa possibile. Ne è uscito un bel percorso, che ci gratifica». Ci saranno anche immagini video di altri lavori dell'artista e una parete ospiterà gli articoli dedicatigli dalla stampa.
Lui, Pordenone, non verrà, non ama essere distratto dal suo lavoro. Ma ha affidato poche parole a Khara: «Sono molto felice di questo omaggio. E di come Il Piccolo si è "accorto" di me».
@boria_A
L'uomo d'affari anglo-indiano Raja Khara proprietario dell'opera "Torero nell'arena" esposta al Magazzino 26 (foto Francesco Bruni)

martedì 6 settembre 2011

MODA & MODI: lucertole anti-depressione

Nell'inverno del pitone, rivestirsi di squame sembra normale. Non basta sfruttare il serpente per un banale portafoglio da nascondere nella borsetta o una pochette da sera che potrebbe perfino passare inosservata. La livrea, percorsa da ferini grafismi, quest'anno è tutt'altro che discreta e viene venduta a metri per ricavarne soprabiti o gonne lunghi fino ai piedi, trench, giacche, abiti, maxi-cardigan e, in versione contenitore, almeno un bauletto da viaggio, una cartella, una gigantesca sacca o uno stivale che arriva sopra il ginocchio, adattissimo per le insidie della giungla urbana.
C'è da sbellicarsi dalle risate a leggere come l'ennesimo, soffocante animalier di stagione, la "tendenza" onnipresente almeno negli ultimi cinque anni (senza risalire a epoche precedenti, che per la moda sarebbero giurassiche), viene aggiornato da riviste fashioniste ed esperti televisivi: fascinating reptile, un "pattern" che combina l'allure con il lato "wild". Tradotto: è sempre un po' tamarro, ma l'hanno proposto tutti i nostri inserzionisti, così per forza dev'essere imperdibile.
Di più fresco (non nuovo), a voler proprio cercare, c'è il colore. Proseguendo nella linea "flou" già varata un paio di estati fa, l'animalier si rende presentabile sperimentando tonalità verde acido, arancio mandarino, rosa ciclamino, azzurro, ottenute secondo metodi di colorazione definiti "eco-friendly" (altra parola magica, come chilometro zero) che danno ai tessuti lucentezza e corposità.
Ci basta per calarci nella pelle del rettile? Che anche se centellinata, pesata, dosata, si muove sempre sull'orlo del precipizio estetico?
Il pitone dell'inverno 2011, così pronto a stritolarci sotto tanti profili che di altre spire non si sente proprio la necessità, non sfigurerebbe nella popolare rubrica "Why don't you" di Harper's Bazaar, in cui Diana Vreeland, a metà degli anni Trenta, regalava alle lettrici le sue "perle di assurdità". Diana, - l'icona di stile che un docufilm celebra alla Mostra del cinema di Venezia - suggeriva amenità del tipo "perchè non vi legate del tulle ai polsi al posto dei braccialetti?", o perchè non trasformate il "vecchio cappotto in un accappatoio?". Oggi potrebbe pensare a un "perchè non vi coprite di scaglie fino ai piedi e vi travestite da enorme lucertolona?". All'epoca voleva scuotere le signore americane appena emerse dalla grande depressione, oggi potrebbe convincerci almeno ad attraversarla.
@boria_a
Marc Jacobs, New York Fashion Week 2011

lunedì 29 agosto 2011

IL LIBRO
Chanel n. 5, il profumo nato dall'amore per un Boy

Che Marilyn andasse a letto con addosso solo qualche goccia di Chanel n.5 fa parte della leggenda. Che invece il presidente americano Harry Truman, in una lettera inviata da Postdam alla moglie Bess, nel 1945, le dicesse di aver comprato molti souvenir ma si scusasse per non essere riuscito a procurarsi una boccetta di Chaneln.5, come lei aveva chiesto, è un episodio per lo più sconosciuto. Il profumo più famoso del mondo è entrato così negli archivi americani, tra le carte personali e familiari del trentatreesimo presidente degli Stati Uniti. Truman faceva ammenda per aver fallito là dove erano riusciti centinaia di semplici soldati che, all'indomani della liberazione di Parigi, facevano la fila in Rue Cambon, davanti alla boutique di Coco Chanel invasa dalle scintillanti bottiglie del profumo tanto desiderato da moglie e fidanzate d'oltreoceano, quello che in una città accasciata prometteva ancora seduzione, sesso, la sopravvivenza della bellezza oltre la guerra.
Compie novant'anni Chanel n.5, la cui prima pubblicità comparve nel 1921. Ma la storia del suo straordinario successo è lunga addirittura cento, perchè chi lo inventò, Gabrielle Bonheur dettaCoco, cominciò a pensare a un'essenza già nel 1911, nello stesso anno in cui, grazie a un profumo, il giovane imprenditore François Coty era diventato uno degli uomini più ricchi di Francia, e l'avversario diretto della stilista, il sarto Paul Poiret, sbalordiva le clienti con la fragranza orientaleggiante "Nuit persane", diventando il primo couturier a proporre un profumo legato alla sua casa di moda.
Per Coco, terza arrivata sul mercato, non si trattava però di affari, piuttosto dell'amore per un uomo, Arthur "Boy" Capel, l'inglese di cui adorava l'odore di «cuoio, cavalli, bosco e sapone per finimenti»: l'idea del n.5 nacque nel pieno della passione, ma il profumo vero prese forma per reagire al dolore, quando "Boy", dopo dieci anni di relazione, la relegò definitivamente nel ruolo di amante per sposare un'ereditiera e, qualche anno dopo, andò a schiantarsi su una delle strade più pericolose della Costa Azzurra, da Saint Raphael verso Cannes, complici velocità e champagne.

Coco Chanel con "Boy" Capel
Amore, simboli, coincidenze, avventura. Sono questi gli ingredienti racchiusi nella celebre boccetta ispirata a Coco dal decanter da whisky del suo uomo. Lo racconta la storica Tilar J. Mazzeo ne "Il segreto di Chanel n.5" (Editore Lindau, pagg. 325, euro 19,50), storia della celebre essenza ambrata di cui ancora oggi si vende una bottiglia ogni 30 secondi, per un giro di affari di almeno cento milioni di dollari l'anno.
 La copertina del libro di Tilar J. Mazzeo

Gli esperti del settore l'hanno soprannominato "le monstre", il mostro. In effetti, c'è qualcosa di magico alle origini di quel "5", che pare dettato a Coco dall'orfanotrofio dell'abbazia di Aubazine dov'era cresciuta, un edificio costruito dai monaci ispirandosi al potere e alla simbologia legati a questo numero. O forse è il cinque caro alla filosofia teosofica che lei e "Boy" studiavano insieme con entusiasmo, o il cinque che un chiromante le ha predetto essere il numero del suo speciale destino.
Quando la stilista, poco dopo la morte di "Boy", si lega all'aristocratico Dimitri Pavlovich ed entra in contatto con il mondo degli esuli russi che svernano in Francia, conosce il profumiere degli zar, il francese Ernest Beaux e gli commissiona un profumo "artificiale". «Le donne non sono fiori - suggerisce - perchè dovrebbero desiderare di avere lo stesso odore?». Beaux prepara dieci fialette con le "tracce" del profumo, basato su un cuore che unisce le essenze della rosa e del gelsomino, le più tradizionali e sfruttate, alle nuove e audaci molecole conosciute con il nome di aldeidi.
Coco allunga la mano verso il campione numero cinque. Quello, così vuole il mito, in cui un distratto assistente di laboratorio ha messo la sostanza pura, al massimo della sua intensità, e non le aldeidi diluite. Sia stato errore vero o colpo di fortuna, quel flaconcino contiene l'aroma della modernità. È nato il più grande profumodell'epoca d'oro.
Le manovre di Coco per ritornare in possesso integralmente della società creata in seguito per distribuire le essenze, Les Parfums Chanel, e di liberarsi dei suoi ingombranti e potenti soci ebrei, sono al centro anche della recentissima biografia "Sleeping with the enemy, Coco Chanel's secret war" del giornalista americano Hal Vaughan, appena uscita negli Stati Uniti, in cui, con documenti e particolari inediti, si riafferma la tesi, già avanzata da più parti, che la stilista fosse una spia nazista. Reclutata dall'Abwehr, il servizio d'intelligence militare tedesco con scopi difensivi, Coco sarebbe stata l'agente F-7124 e avrebbe effettuato missioni in Marocco e in Spagna, in particolare nell'agosto 1941, assieme a un altro agente, il barone Louis de Vaufreland, ex agente della Gestapo incaricato di reclutare nuove spie.
Il libro di Hal Vaughan
Non è certo se fu grazie all'attività di collaborazionista che Coco conosce il barone Hans Gunther von Dincklage, detto "Spatz", passero, e ne diventa l'amante, o se la loro relazione sia iniziata già prima della guerra. Grazie a lui, però, durante l'occupazione tedesca in Francia, continua a vivere all'hotel Ritz di Parigi, frequentato da gerarchi come Göring, Göbbels, Hermann. E quando, a liberazione avvenuta, di "Spatz" si perdono le tracce, Coco pensa bene di chiedere aiuto a un soldato americano di origini tedesche, che immagina sarebbe stato assegnato all'intelligence e agli interrogatori, pregandolo di informarla se avesse incontrato l'amante tra i prigionieri di guerra. Per ricompensare il giovane, gli riempie la sacca da viaggio di un piccolo tesoro: bottiglie e bottiglie di Chanel n. 5, una fortuna sul mercato nero. Lei si difenderà sempre dall'accusa di spionaggio e, a proposito del rapporto con "Spatz", commenterà con una buona dose di auto-ironia: «Quando una donna della mia età riesce a trovare un amante non va certo a spulciargli il passaporto».
Coco Chanel esce dalla guerra con la reputazione a brandelli. Chanel n.5, invece, nell'arco di quattro o cinque anni diventa una delle icone del secolo. Non solo un profumo famoso e venduto, ma un potente simbolo culturale. Una boccetta piena di amori, simboli, coincidenze, avventura. E di contraddizioni. È prodotto e distribuito da una società appartenente a una famiglia ebrea, ma il suo nome lo deve a una stilista accusata di antisemitismo, che passa la guerra con un graduato tedesco e tenta di utilizzare le leggi della Francia occupata per liberarsi dei suoi soci. Un oggetto di lusso ambito sia dai nazisti che dai liberatori. Venduto per anni negli spacci militari e sul mercato nero, non perde nulla della sua attrattiva. I soldati americani in fila nel 1945 davanti alla boutique Chanel aspettano, come prima di loro avevano aspettato tedeschi e inglesi, di avere tra le mani quella boccetta che racchiude fragranza, amplessi, l'idea stessa di Parigi. Se non sanno pronunciarne il nome, alzano la mano mostrando le cinque dita. Un'intera generazione di consumatori associa a quel profumo i suoi desideri e le sue speranze per il futuro e Chanel n.5 entra nella storia di ognuno di loro e della donna che lo riceverà. Così, dalle tante storie personali, nasce la leggenda, come ancora oggi suggerisce lo slogan pubblicitario: "Share the fantsy".
@boria_a

Coco Chanel