lunedì 29 agosto 2011

IL LIBRO
Chanel n. 5, il profumo nato dall'amore per un Boy

Che Marilyn andasse a letto con addosso solo qualche goccia di Chanel n.5 fa parte della leggenda. Che invece il presidente americano Harry Truman, in una lettera inviata da Postdam alla moglie Bess, nel 1945, le dicesse di aver comprato molti souvenir ma si scusasse per non essere riuscito a procurarsi una boccetta di Chaneln.5, come lei aveva chiesto, è un episodio per lo più sconosciuto. Il profumo più famoso del mondo è entrato così negli archivi americani, tra le carte personali e familiari del trentatreesimo presidente degli Stati Uniti. Truman faceva ammenda per aver fallito là dove erano riusciti centinaia di semplici soldati che, all'indomani della liberazione di Parigi, facevano la fila in Rue Cambon, davanti alla boutique di Coco Chanel invasa dalle scintillanti bottiglie del profumo tanto desiderato da moglie e fidanzate d'oltreoceano, quello che in una città accasciata prometteva ancora seduzione, sesso, la sopravvivenza della bellezza oltre la guerra.
Compie novant'anni Chanel n.5, la cui prima pubblicità comparve nel 1921. Ma la storia del suo straordinario successo è lunga addirittura cento, perchè chi lo inventò, Gabrielle Bonheur dettaCoco, cominciò a pensare a un'essenza già nel 1911, nello stesso anno in cui, grazie a un profumo, il giovane imprenditore François Coty era diventato uno degli uomini più ricchi di Francia, e l'avversario diretto della stilista, il sarto Paul Poiret, sbalordiva le clienti con la fragranza orientaleggiante "Nuit persane", diventando il primo couturier a proporre un profumo legato alla sua casa di moda.
Per Coco, terza arrivata sul mercato, non si trattava però di affari, piuttosto dell'amore per un uomo, Arthur "Boy" Capel, l'inglese di cui adorava l'odore di «cuoio, cavalli, bosco e sapone per finimenti»: l'idea del n.5 nacque nel pieno della passione, ma il profumo vero prese forma per reagire al dolore, quando "Boy", dopo dieci anni di relazione, la relegò definitivamente nel ruolo di amante per sposare un'ereditiera e, qualche anno dopo, andò a schiantarsi su una delle strade più pericolose della Costa Azzurra, da Saint Raphael verso Cannes, complici velocità e champagne.

Coco Chanel con "Boy" Capel
Amore, simboli, coincidenze, avventura. Sono questi gli ingredienti racchiusi nella celebre boccetta ispirata a Coco dal decanter da whisky del suo uomo. Lo racconta la storica Tilar J. Mazzeo ne "Il segreto di Chanel n.5" (Editore Lindau, pagg. 325, euro 19,50), storia della celebre essenza ambrata di cui ancora oggi si vende una bottiglia ogni 30 secondi, per un giro di affari di almeno cento milioni di dollari l'anno.
 La copertina del libro di Tilar J. Mazzeo

Gli esperti del settore l'hanno soprannominato "le monstre", il mostro. In effetti, c'è qualcosa di magico alle origini di quel "5", che pare dettato a Coco dall'orfanotrofio dell'abbazia di Aubazine dov'era cresciuta, un edificio costruito dai monaci ispirandosi al potere e alla simbologia legati a questo numero. O forse è il cinque caro alla filosofia teosofica che lei e "Boy" studiavano insieme con entusiasmo, o il cinque che un chiromante le ha predetto essere il numero del suo speciale destino.
Quando la stilista, poco dopo la morte di "Boy", si lega all'aristocratico Dimitri Pavlovich ed entra in contatto con il mondo degli esuli russi che svernano in Francia, conosce il profumiere degli zar, il francese Ernest Beaux e gli commissiona un profumo "artificiale". «Le donne non sono fiori - suggerisce - perchè dovrebbero desiderare di avere lo stesso odore?». Beaux prepara dieci fialette con le "tracce" del profumo, basato su un cuore che unisce le essenze della rosa e del gelsomino, le più tradizionali e sfruttate, alle nuove e audaci molecole conosciute con il nome di aldeidi.
Coco allunga la mano verso il campione numero cinque. Quello, così vuole il mito, in cui un distratto assistente di laboratorio ha messo la sostanza pura, al massimo della sua intensità, e non le aldeidi diluite. Sia stato errore vero o colpo di fortuna, quel flaconcino contiene l'aroma della modernità. È nato il più grande profumodell'epoca d'oro.
Le manovre di Coco per ritornare in possesso integralmente della società creata in seguito per distribuire le essenze, Les Parfums Chanel, e di liberarsi dei suoi ingombranti e potenti soci ebrei, sono al centro anche della recentissima biografia "Sleeping with the enemy, Coco Chanel's secret war" del giornalista americano Hal Vaughan, appena uscita negli Stati Uniti, in cui, con documenti e particolari inediti, si riafferma la tesi, già avanzata da più parti, che la stilista fosse una spia nazista. Reclutata dall'Abwehr, il servizio d'intelligence militare tedesco con scopi difensivi, Coco sarebbe stata l'agente F-7124 e avrebbe effettuato missioni in Marocco e in Spagna, in particolare nell'agosto 1941, assieme a un altro agente, il barone Louis de Vaufreland, ex agente della Gestapo incaricato di reclutare nuove spie.
Il libro di Hal Vaughan
Non è certo se fu grazie all'attività di collaborazionista che Coco conosce il barone Hans Gunther von Dincklage, detto "Spatz", passero, e ne diventa l'amante, o se la loro relazione sia iniziata già prima della guerra. Grazie a lui, però, durante l'occupazione tedesca in Francia, continua a vivere all'hotel Ritz di Parigi, frequentato da gerarchi come Göring, Göbbels, Hermann. E quando, a liberazione avvenuta, di "Spatz" si perdono le tracce, Coco pensa bene di chiedere aiuto a un soldato americano di origini tedesche, che immagina sarebbe stato assegnato all'intelligence e agli interrogatori, pregandolo di informarla se avesse incontrato l'amante tra i prigionieri di guerra. Per ricompensare il giovane, gli riempie la sacca da viaggio di un piccolo tesoro: bottiglie e bottiglie di Chanel n. 5, una fortuna sul mercato nero. Lei si difenderà sempre dall'accusa di spionaggio e, a proposito del rapporto con "Spatz", commenterà con una buona dose di auto-ironia: «Quando una donna della mia età riesce a trovare un amante non va certo a spulciargli il passaporto».
Coco Chanel esce dalla guerra con la reputazione a brandelli. Chanel n.5, invece, nell'arco di quattro o cinque anni diventa una delle icone del secolo. Non solo un profumo famoso e venduto, ma un potente simbolo culturale. Una boccetta piena di amori, simboli, coincidenze, avventura. E di contraddizioni. È prodotto e distribuito da una società appartenente a una famiglia ebrea, ma il suo nome lo deve a una stilista accusata di antisemitismo, che passa la guerra con un graduato tedesco e tenta di utilizzare le leggi della Francia occupata per liberarsi dei suoi soci. Un oggetto di lusso ambito sia dai nazisti che dai liberatori. Venduto per anni negli spacci militari e sul mercato nero, non perde nulla della sua attrattiva. I soldati americani in fila nel 1945 davanti alla boutique Chanel aspettano, come prima di loro avevano aspettato tedeschi e inglesi, di avere tra le mani quella boccetta che racchiude fragranza, amplessi, l'idea stessa di Parigi. Se non sanno pronunciarne il nome, alzano la mano mostrando le cinque dita. Un'intera generazione di consumatori associa a quel profumo i suoi desideri e le sue speranze per il futuro e Chanel n.5 entra nella storia di ognuno di loro e della donna che lo riceverà. Così, dalle tante storie personali, nasce la leggenda, come ancora oggi suggerisce lo slogan pubblicitario: "Share the fantsy".
@boria_a

Coco Chanel

martedì 23 agosto 2011

MODA & MODI

Le suole rosse democratiche per sentenza

Zampetteremo attraverso la crisi su un paio di suole rosse, ma non saranno le celebri Louboutin. O almeno, non solo loro.
La sentenza del giudice di New York cade a fagiolo nella stretta economica planetaria: sui colori, ha stabilito, nessun designer può pretendere l'esclusiva. Contro la maison che ha reso inconfondibile la parte meno nobile della calzatura, quella snobbata da tutti gli altri, e l'ha resa protagonista più della ragguardevole altezza dei suoi stiletto, aveva fatto ricorso un altro colosso francese, Yves Saint Laurent, sostenendo che le suole rosse sono un ornamento fin dai tempi di Luigi XIV e che l'avversario non poteva appropriarsene a danno di tutti gli altri.


E dunque, plagio non c'è. Adesso, quello sfacciato corallo potrebbe essere un'autentica e concupita Louboutin, ma anche una più modesta scarpa di serie, ben contenta di saltare a piè pari, è il caso di dirlo, sull'equivoco della paternità e di inondare il mercato con milioni di scopiazzature.


Il rosso sotto i piedi è diventato interclassista per legge. Tempi andati quelli in cui a colpi di suole si sfidavano due first lady come Carlà e la principessa delle Asturie, la futura regina di Spagna Letizia. O che Jennifer Lopez dedicava una canzone e un clip alle calzature del cuore, proclamando al mondo che con le sue "red bottoms" avrebbe camminato sopra il vecchio amore per cominciare una nuova vita. Suole di prestigio anche alla vigilia della mezza età, se nel secondo Sex and The City la confusa Sarah Jessica Parker inclinava graziosamente il piede per svelare, in un colpo di rosso, che la maturità ticchettava non più sulle sventate Manolo ma sulle più impostate e pompose francesi.


A tutte le altre, quelle che le Louboutin si limitavano a guardarle col binocolo, la sentenza regala almeno un contentino psicologico. Se è vero che la "cromoterapia" ci aiuterà ad attraversare l'inverno del nostro scontento, possiamo incominciare democraticamente dalle estremità.

E sotto la pianta dei piedi, rossa per la rabbia, pestare le sublimi sciocchezze che già ci propinano le anticipazioni della moda, cominciando dal "ritorno" delle pellicce...
@boria_a