martedì 24 luglio 2012

MODA & MODI

Farfalline o teschi? Ecco l'hard domestico

Le farfalline di Cruciani

Farfalle e teschi convivono allegramente nell'estate degli opposti accessori. Il braccialetto di macramè di Cruciani, fenomeno epidemico del momento, è la sintesi delle due varianti. C'è una Belen in te che non riesci a reprimere? Ecco il laccetto con il tenero lepidottero dai colori bon bon, che ha inondato il mercato dopo la sua fugace apparizione inguinale in versione tatuaggio, oggi oggetto cult perchè prossimo a uscire di produzione. Sei ironicamente aggressiva? Basta scegliere la linea "scary", col suo simbolo dei pirati soft, allungato e addolcito nelle forme e un sorriso confortante al posto del ghigno.
Butterflies vs skulls, chi vince? Tra i braccialetti non c'è battaglia: da Sanremo, l'insettuccio svolazza vitale più che mai di polso in polso, il teschio arranca, nonostante sia sul mercato da più stagioni, e comincia a mostrare i segni della caducità.
Se i due simboli dell'estate si dividono fraternamente il mondo della gioielleria e della bigiotteria, con reciproche incursioni nell'uno e nell'altro (alle clienti fedeli il supermercato regala il braccialettino simil-argento con la farfalla, mentre i monomarca di preziosi dedicano intere vetrine a orecchini e collier con teschi di varie dimensioni tempestati di diamanti), colpisce l'inversione anagrafica delle clienti nella scelta dei propri beniamini.
Il teschio rosa, a metà tra i camuffamenti di Halloween e le avventure dei pirati, piace alle under dieci o poco più: Hello Kitty ne sforna un'intera gamma, felpe, t-shirt, pure porta-merenda con un cranio dalle guanciotte paffute, i pomelli rosa e il fiocco tra le ossa. C'è anche la collana di zirconi a mettere d'accordo diavolo e acqua santa: i cuoricini, il "dolce-teschio", simile a un domesticissimo micio, e la farfalla verde sulla fronte, il tutto molto girly.
La farfalla birichina si posa piuttosto sulle signore mature, le prime a decretare il successo dei braccialetti di pizzo, accessorio alla portata di tutte, scanzonato, allegro, un po' fetish ma senza esagerare. Farfalla mediatica, risciacquata nel bon ton. L'estate 2012 è all'insegna dell'hard castigato: piacciono i libri dove lei, come Pretty Woman, cerca di salvare lui, ma dal vizio di fruste e corde. Piacciono gli accessori che riducono i sex symbol alla dimensione domestica.
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I teschi di Bertolasi

martedì 17 luglio 2012

E' ITS TEN A TRIESTE
All'americano Shaun Samson l'edizione del decennale del fashion contest


TRIESTE Gli uomini felpati dell’americano Shaun Samson  hanno vinto il premio più importante, “Fashion collection of the year”, a ITS Ten, l’edizione del decennale. Il “Diesel Award” a un’altra collezione maschile, quella dell’israeliano Niran Avisar, ispirata a Schiele e all’estetica di inizio secolo.


 La collezione maschile dell'americano Shaun Samson (foto Andrea Lasorte per Il Piccolo)

È stata l’edizione degli uomini e del loro corpo, territorio, per la moda, in parte ancora inesplorato. Sette collezioni su dieci finaliste, più la esagerata processione di eroi ispirati a Gundam del giapponese Takashi Nishiyama, trionfatore dell’anno scorso, si esercitano a sperimentare, rivoluzionare, scomporre e ricomporre, nel guardaroba di lui. Uomini cavalieri, bozzoli, dandy, che non si vergognano di apparire morbidi o stropicciati infilandosi in pantaloni e trench pennellati sulla figura, ironici al punto da permettersi giganteschi involucri di lana sotto cui è difficile stanarli. «L’attenzione per la moda maschile sta coinvolgendo tutte le scuole del mondo - dice Hilary Alexander, giornalista del “Daily Telegraph” e componente della giuria - probabilmente perchè quella femminile è ormai troppo affollata. Diciamo che a Trieste ho visto cose un po’ estreme e che difficilmente uscirei con un maschio vestito così. Ma la qualità e il contenuto creativo sono molto alti». E Maria Luisa Frisa, direttrice del corso di fashion design dell’Iuav di Venezia: «Succede che l’uomo è sempre più moda e che la moda maschile registra la maggiore innovazione, forse perchè è sempre stata più trascurata. Marchionne che porta il maglione significa che il maschio non si limita più al vestito formale, del sarto, ma sa indossare capi che recepiscono maggiormente i cambiamenti della moda e non solo».
Quando sfila lui, lo spettacolo non ci guadagna, ma l’attenzione si sposta sui particolari. Discorso che non vale per Kevin Kramp, i cui uomini si perdono sotto gigantesche affastellature di lane colorate, bozzoli costruiti intrecciando interminabili sciarpe, maglioni extralarge da cui si allargano pantaloni altrettanto comodi. Una sorta di divisa, spiega il biondo designer americano - che si è guadagnato il “Modateca Award” non a caso messo in palio dalla signora della maglieria Deanna Ferretti - di una tribù maschile dove prevalgono lealtà, cameratismo e senso dell’onore, e il calore è assicurato dalle lane più che dalle donne.
 La lana protagonista della collezione di Kevin Kramp (f. Lasorte)

Uomini tutti da cogliere nei dettagli sono piuttosto quelli del vincitore Shaun, che sperimenta un incredibile tessuto “fusion” per pantaloni e lunghe casacche, dove il tartan o il plaid delle camicie da lavoro sfumano nella maglieria senza l’ombra di cuciture, regalando un partner confortevole e avvolgente, ma anche lui, ahimè, più a suo agio in un “clan” di genere che con una compagna. Per Niran il gentiluomo contemporaneo si rifugia in colori estenuati, fragili come lui, sostituendo le spigolosità delle divise militari con i giochi raffinati di camoscio e lana.
Lana, tanta. Autentico bene-rifugio per i finalisti di questa edizione di ITS, più che mai misurata anche in passerella, in sintonia con un clima generale che si è lasciato alle spalle tutta la moda da bere, colori e consistenze compresi. «La maglieria ha registrato un successo incredibile e ha mostrato la grande capacità tecnica di questi giovani designer - commenta ancora Frisa - proprio come la moda maschile. Da entrambi ci vengono nuovi input».
Tra maschi consapevoli e autosufficienti, le donne che fine hanno fatto? Residuali per numero di proposte in passerella, vincenti nella “costruzione” dei materiali. L’olandese Jantine Van Peski cala le sue creature in architetture aeree, ricavate arrotolando certosinamente il tessuto in tubicini: niente disegni e cartamodelli, la gabbia nasce direttamente sulla figura, la imprigiona senza costringerla, come se avesse, e si muovesse, di vita propria. Energiche e vitaminiche quelle dell’ingleseRuth Green, premiata per i suoi tubini arancioni che richiamano le linee pulite del Bauhaus e nascono da un mix di maglia e viscosa, da portare, altro accostamento estremo, con pantaloni impalpabili di chiffon. Sperimentale anche il tessuto “affumicato” (a prova di olfatto) della canadese Tabitha Osler, tecnica utilizzata per imprimere una sorta di stampa a ragnatela sul fondo color cipria. Peccato che lo sforzo tecnico sia servito per vestire improbabili maghelle uscite da una sorta di Fantabosco, con tanto di ramazze e calzature ricoperte di paglia (idea apprezzata, peraltro, da Hilary Alexander, che giura di avere il coraggio di metterselo un “outfit” del genere...). Dimenticabile, infine, la proposta della svedese Amelie Marciasini, pellicce verde acido dai top alle scarpe: il tutto per signore sull’orlo di una crisi di gusto, a forte rischio drag queen.


Le "maghelle" di Tabitha Osler (f. Lasorte)

Decima edizione del concorso in archivio, dunque, presentata come sempre dall’adrenalinica Victoria Cabello.


 La donna della svedese Amelie Marciasini (f. Lasorte)

Un anniversario che i budget inesorabilmente ridotti hanno privato dei contenuti celebrativi, privilegiando la rimpatriata di quella che gli organizzatori chiamano la “famiglia ITS”, una rete ormai consolidata di ex concorrenti in carriera, insegnanti, giornalisti, buyer, cacciatori di talenti. Questo il parterre della serata conclusiva all’ex Pescheria, alla quale ha preso parte il “vecchio” supporter Roberto Cosolini, per la prima volta in veste di sindaco e fresco fresco del primo sigillo d’oro, assegnato proprio al finanziatore principale di ITS, Renzo Rosso. Tribù internazionale di “alieni”, li ha definiti il giornalista Angelo Flaccavento, che per la città che li ospita, negli anni sono rimasti tali, anche in quest’edizione in cui avrebbe dovuto compiersi l’aggancio tra territorio e manifestazione. I tagli nei fondi hanno rinviato a tempi migliori mostre e iniziative promozionali, così i “pacifici invasori” di ITS ancora una volta sono stati per Trieste i conoscenti delle vacanze, se non perfetti sconosciuti. «Speriamo che gli amministratori capiscano che il concorso è importante per l’economia e il turismo. Il gesto del sindaco fa sperare bene...», azzarda Hilary Alexander.

Altrove, ITS perderebbe parte del suo fascino, Trieste una ribalta, un’occasione di guadagno. Ma dieci anni sono tanti per non capire che c’è il rischio della nicchia. Come l’invenzione del vincitore di ITS Nine, ultima uscita in passerella di Takashi, il tenero stilista prigioniero nelle sue visioni e nel suo inespugnabile giapponese: un aereo-vestito lungo venti metri, che cinque modelli muovono in contemporanea. Che alieno, pure lui.
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domenica 15 luglio 2012

MODA
Its 2012, vince Ichiro Suzuki sull'onda della grazia

Its 2012 premia, con il riconoscimento più importante, la "Fashion collection of the year", il giapponese Ichiro Suzuki e i suoi completi maschili, estrosi e rigorosi, che riscrivono in tre dimensioni l'eleganza di Savile Row. Il "Diesel Award", e il premio di D-La Repubblica, vanno al lituano Marius Janusauskas, che ha mandato in passerella donne di una bellezza siderale, custodite in bustier di seta percorsi da fiori. Ichiro tornerà a Trieste il prossimo anno, con la nuova collezione realizzata grazie ai 15mila euro vinti ieri notte all'ex Pescheria, nella serata conclusiva del concorso presentata da Victoria Cabello. Marius ha ottenuto 25 mila euro per promuovere il suo lavoro e uno stage di sei mesi nel quartier generale della Diesel, a Breganze. È "grazia", parola da romanzo ottocentesco, il filo conduttore di queste due collezioni, le più riuscite, le più emozionanti dell'undicesima finale di Its.
Gli uomini del vincitore Ichiro Suzuki (foto di Paolo Giovannini per Il Piccolo)
 I talenti già maturi hanno fiutato l'aria: per entrare, e restare sul mercato - le grandi griffe insegnano, sostituendo stilisti asciutti a pazzoidi puri - ci vogliono estro e creatività, ma combinati con misura, portabilità, producibilità. Non inganna la prima uscita in passerella, gli uomini vestiti da suore e monaci eremiti della russa Veronika Kallaur, avviliti in contenitori che dovrebbero essere gonne e in copricati ispirati ai popi e alle "cornette", le cuffie con le ali delle religiose ospedaliere, poveri maschi grotteschi piuttosto che ieratici. È il tributo allo spettacolo della moda, alla moda spettacolo, anch'essa da sottoporre a un'urgente "review", di spesa e soprattutto gusto. Basta la seconda collezione, firmata da Shengwei Wang, vincitrice del "Modateca Award" di 3mila euro, a riconciliarci con i vestiti che, peso del materiale a parte, vorremmo appendere nell'armadio. Il pretesto di un omaggio a Frida Kahlo, viene dalla giovane cinese declinato in un unico modello, sempre lo stesso, dove la sorpresa è il magistrale patchwork di lana, metallo, pizzo, macramè: un involucro protettivo e raffinato per la pittrice, "uccello senz'ali", ma, portato con scarpe basse e calze spesse, per qualsiasi donna sappia sedurre senza mostrare nulla. Agli uccelli si ispira anche Mark Goldenberg che traduce la linea dell'ala ripiegata in abiti torrone e bluette, e in una camicetta verde acido dagli intrecci metallici ricoperti con lana e cotone tessuti a mano: il punto di partenza è cerebrale, la citazione delle sculture di Naum Gabo, ma i capi trovano la sintesi tra ispirazione e voglia di farsi indossare. E il giovane israeliano ottiene due riconoscimenti: 5 mila euro dalla Avery Dennison, leader nel settore delle etichette, e l'ambito "Vogue Talents Award", che lo porterà sulle pagine della bibbia italiana dello stile.

 La collezione di Marius Janusauskas
«Armonia ed equilibrio», cercava l'artista Marina Abramovic, componente eccellente della giuria di Its 2012. La risposta è venuta da una collezione davvero in "stato di grazia", quella della tedesca Isabel Vollrath, che gioca con il concetto di "lost and found", ovvero guanti, sacchi, piume, una borsa piena di scarpe da ballerina e un vecchio scaldino da letto, trovati per strada e da lei manipolati fino a farne borse, copricapi, mantelli. È solo il contorno, gli accessori divertissement di capi da prendere e indossare subito, con trench la cui gonna si allarga sopra il corpino-bustier, una mantella di pelle color mou dal taglio perfetto, il cappotto simil-Westwood, tutto taglio, calore e confortevolezza. A Isabel va il nuovo premio di quest'edizione, il "Saturday Night Fever Award", per disegnare i costumi di Tony Manero e Stephanie Mangano, protagonisti del celebre musical, che debutterà a Milano il prossimo 18 ottobre. Marius Janusauskas, spiegando i suoi abiti, sceglie una parola sorprendente per desuetudine: "deferenza". E sono davvero signore che incutono rispetto, le sue, avvolte in sete panna e rosa petalo, in plissé dov'è dichiarata la lezione di Madame Grès, infilate in pantaloni di pizzo su questi piccoli busti-armatura, con fili rossi come il sangue che corrono nei tubicini di plastica. Tutto è discreto, compiuto, aereo, i piccoli fiocchi e i fiori di tessuto bruciato e accartocciato non disturbano la pulizia dell'insieme. Da prenotare al volo - e, vestiti da cima a fondo, anche da "toccare" - i dandy di Ichiro Suzuki. Uomini appena usciti dalla sartoria, dove hanno scelto giacche a tre dimensioni. Sono perfetti, maschi, inventano ma non debordano. Le camicie hanno colli multistrato fino al mento, i gessati a un certo punto svirgolano in zig-zag, sulla schiena il motivo si alza, diventa un gioco di piccoli prismi in rilievo, che viene voglia di accarezzare. Sorprendenti i pantaloni, incastri certosini di tartan e tessuti optical, con una semplice camicia bianca perfetti pure per galvanizzare i mezzibusti da scrivania. Meno comprensibile e meno in sintonia con il "mood" di questa giovane e matura stagione creativa, il premio speciale a Luke Brooks, 5 mila euro assegnati dagli organizzatori di "Eve": collezione "fuck you", dice il designer britannico, disegnata in un'urgenza creativa che non trova di meglio che far colare colore, tipo tecnica "dipping", su lunghe t-shirt. Voleva mandare a quel paese frustrazione e depressione, gli riesce solo una gran confusione. Its 2012 va in archivio con l'uscita finale del vincitore dell'anno scorso, Shaun Samson e i suoi colorati ragazzi in camicie percorse da motivi metallici, perfettamente integrati nel tessuto, come fatti al telaio. Dopo di lui, spazio alla cerimonia di premiazione, condotta a ritmo serrato da un'adrenalinica Cabello, passata indenne dai ritmi forsennati dei Gogol Bordello sul Carso alla passerella dell'ex Pescheria. Tema di questa undicesima edizione del concorso era "good or evil": e Marina Abramovic, forse un po' a sorpresa, ha scelto di stare dalla parte degli angeli. Come tanti dei nuovi stilisti.
@boria_a
E' ITS 2012  A TRIESTE
Al giapponese Ichiro Suzuki l'undicesima edizione del fashion contest

 
ITS 2012
 premia, con il riconoscimento più importante, la "Fashion collection of the year", il giapponese Ichiro Suzuki e i suoi completi maschili, estrosi e rigorosi, che riscrivono in tre dimensioni l'eleganza di Savile Row.


La collezione maschile del giapponese Ichiro Suzuki (foto Paolo Giovannini per Il Piccolo)
Il "Diesel Award", e il premio di D-La Repubblica, vanno al lituano 
Marius Janusauskas, che ha mandato in passerella donne di una bellezza siderale, custodite in bustier di seta percorsi da fiori. Ichiro tornerà a Trieste il prossimo anno, con la nuova collezione realizzata grazie ai 15mila euro vinti ieri notte all'ex Pescheria, nella serata conclusiva del concorso presentata da Victoria Cabello. Marius ha ottenuto 25 mila euro per promuovere il suo lavoro e uno stage di sei mesi nel quartier generale della Diesel, a Breganze.
È "grazia", parola da romanzo ottocentesco, il filo conduttore di queste due collezioni, le più riuscite, le più emozionanti dell'undicesima finale di ITS. I talenti già maturi hanno fiutato l'aria: per entrare, e restare sul mercato - le grandi griffe insegnano, sostituendo stilisti asciutti a pazzoidi puri - ci vogliono estro e creatività, ma combinati con misura, portabilità, producibilità. Non inganna la prima uscita in passerella, gli uomini vestiti da suore e monaci eremiti della russa Veronika Kallaur, avviliti in contenitori che dovrebbero essere gonne e in copricati ispirati ai popi e alle "cornette", le cuffie con le ali delle religiose ospedaliere, poveri maschi grotteschi piuttosto che ieratici. È il tributo allo spettacolo della moda, alla moda spettacolo, anch'essa da sottoporre a un'urgente "review", di spesa e soprattutto gusto. Basta la seconda collezione, firmata da Shengwei Wang, vincitrice del "Modateca Award" di 3mila euro, a riconciliarci con i vestiti che, peso del materiale a parte, vorremmo appendere nell'armadio. Il pretesto di un omaggio a Frida Kahlo, viene dalla giovane cinese declinato in un unico modello, sempre lo stesso, dove la sorpresa è il magistrale patchwork di lana, metallo, pizzo, macramè: un involucro protettivo e raffinato per la pittrice, "uccello senz'ali", ma, portato con scarpe basse e calze spesse, per qualsiasi donna sappia sedurre senza mostrare nulla. Agli uccelli si ispira anche Mark Goldenberg che traduce la linea dell'ala ripiegata in abiti torrone e bluette, e in una camicetta verde acido dagli intrecci metallici ricoperti con lana e cotone tessuti a mano: il punto di partenza è cerebrale, la citazione delle sculture di Naum Gabo, ma i capi trovano la sintesi tra ispirazione e voglia di farsi indossare.


E il giovane israeliano ottiene due riconoscimenti: 5 mila euro dalla Avery Dennison, leader nel settore delle etichette, e l'ambito "Vogue Talents Award", che lo porterà sulle pagine della bibbia italiana dello stile.
Un outfit di Mark Goldenberg


Marina  Abramović, componente eccellente della giuria di ITS 2012. La risposta è venuta da una collezione davvero in "stato di grazia", quella della tedesca Isabel Vollrath, che gioca con il concetto di "lost and found", ovvero guanti, sacchi, piume, una borsa piena di scarpe da ballerina e un vecchio scaldino da letto, trovati per strada e da lei manipolati fino a farne borse, copricapi, mantelli. È solo il contorno, gli accessori divertissement di capi da prendere e indossare subito, con trench la cui gonna si allarga sopra il corpino-bustier, una mantella di pelle color mou dal taglio perfetto, il cappotto simil-Westwood, tutto taglio, calore e confortevolezza. A Isabel va il nuovo premio di quest'edizione, il "Saturday Night Fever Award", per disegnare i costumi di Tony Manero e Stephanie Mangano, protagonisti del celebre musical, che debutterà a Milano il prossimo 18 ottobre. Marius Janusauskas, spiegando i suoi abiti, sceglie una parola sorprendente per desuetudine: "deferenza". E sono davvero signore che incutono rispetto, le sue, avvolte in sete panna e rosa petalo, in plissé dov'è dichiarata la lezione di Madame Grès, infilate in pantaloni di pizzo su questi piccoli busti-armatura, con fili rossi come il sangue che corrono nei tubicini di plastica. Tutto è discreto, compiuto, aereo, i piccoli fiocchi e i fiori di tessuto bruciato e accartocciato non disturbano la pulizia dell'insieme.

Le donne di Marius Janusauskas, vincitore del Diesel Award (P. Giovannini)
Da prenotare al volo - e, vestiti da cima a fondo, anche da "toccare" - i dandy di Ichiro Suzuki. Uomini appena usciti dalla sartoria, dove hanno scelto giacche a tre dimensioni. Sono perfetti, maschi, inventano ma non debordano. Le camicie hanno colli multistrato fino al mento, i gessati a un certo punto svirgolano in zig-zag, sulla schiena il motivo si alza, diventa un gioco di piccoli prismi in rilievo, che viene voglia di accarezzare. Sorprendenti i pantaloni, incastri certosini di tartan e tessuti optical, con una semplice camicia bianca perfetti pure per galvanizzare i mezzibusti da scrivania. Meno comprensibile e meno in sintonia con il "mood" di questa giovane e matura stagione creativa, il premio speciale a Luke Brooks, 5 mila euro assegnati dagli organizzatori di "Eve": collezione "fuck you", dice il designer britannico, disegnata in un'urgenza creativa che non trova di meglio che far colare colore, tipo tecnica "dipping", su lunghe t-shirt. Voleva mandare a quel paese frustrazione e depressione, gli riesce solo una gran confusione. ITS 2012
 va in archivio con l'uscita finale del vincitore dell'anno scorso, Shaun Samson e i suoi colorati ragazzi in camicie percorse da motivi metallici, perfettamente integrati nel tessuto, come fatti al telaio. Dopo di lui, spazio alla cerimonia di premiazione, condotta a ritmo serrato da un'adrenalinica Cabello, passata indenne dai ritmi forsennati dei Gogol Bordello sul Carso alla passerella dell'ex Pescheria. Tema di questa undicesima edizione del concorso era "good or evil": e Marina  Abramović forse un po' a sorpresa, ha scelto di stare dalla parte degli angeli. Come tanti dei nuovi stilisti.
 
@boria_a

sabato 14 luglio 2012


L'INTERVISTA

Marina Abramovic, niente jeans ma  divise russe



Marina Abramovic con lo stilista Riccardo Tisci 

La giacca di centouno pelli di serpente, cucita dall’amico Riccardo Tisci, direttore creativo di Givenchy, per la festa conclusiva della sua performance al Moma di New York nel 2010, “The artist is present”, ce l’ha ancora.
Uno di quei capi, non molti, da cui Marina Abramovic non riesce a separarsi, nonostante i periodici “alleggerimenti” del guardaroba, legati agli spostamenti e al succedersi delle fasi creative della sua vita. «Riccardo - racconta - si è ispirato a un mio lavoro del passato con i serpenti e ne è uscito questo pezzo di haute couture incredibile, per me preziosissimo. È unico, l’ha fatto per sorprendermi. Continuo a indossarlo e continua anche la nostra collaborazione. Adesso lavoriamo a una versione del “Bolero” di Ravel, la prima completamente diversa dopo quella di Béjart, per l’Opera Garnier di Parigi, con i coreografi belgi Sidi Larbi Cherkaoui e Damien Jalet. La premiere sarà il 1° maggio del prossimo anno. Tisci firma i costumi, io “concept” e scenografia».

  

Marina Abramovic, la più famosa performance artist al mondo, è a Trieste, invitata a far parte della giuria fashion dell'undicesima edizione di ITS. Arriva dalla Francia, dopo un periodo di vacanza. «Là solo t-shirt e pantaloni, tutto bianco e nero. Cosa mi metterò? Grosso problema. Penso un mix di Tisci e Costume National, tra i miei preferiti». Chiarissime le idee su cosa cercherà nelle collezioni degli aspiranti stilisti: «Armonia ed equilibrio».



Marina Abramovic  firma l'albo degli ospiti eccellenti del Comune di Trieste

Dopo la fine del suo matrimonio, lei è andata alle sfilate di Parigi. Moda terapeutica? «No, amavo la moda già da molto tempo. Il mio primo capo importante l’ho comprato appena finita la camminata lungo la Grande Muraglia, nel 1989. Era uno Yoshji Yamamoto, finalmente avevo i soldi e potevo permettermelo. Ma non c’entrano i rapporti affettivi, l’ho fatto per me stessa».

 
E il vestito rosso che indossava al Moma, chi l’ha disegnato? «Una mia idea. Erano tre: uno blu scuro per la calma, uno bianco come la purificazione, e uno rosso per la forza. I concetti chiave della performance. Il colore si connette alla mia energia interiore, è molto importante. Avevo bisogno di qualcosa di ampio e confortevole, dalle linee semplici. E caldo, infatti gli abiti sono in lanae cachemere».

 
Invece i costumi del suo ultimo spettacolo, la messa in scena della sua vita e morte, per la regia di Bob Wilson? «Jacques Reynaud, uno stilista italiano, fantastico, che da decenni collabora con Wilson. I suoi genitori lavoravano per la Scala di Milano, suo padre Alain ha disegnato gli abiti per Maria Callas, ha ancora tutto l’archivio della cantante».

 
Lei è cresciuta nella Jugoslavia di Tito. Le piaceva lo stile di Jovanka, il socialismo “glam”? «Lo odiavo. L’aspetto più interessante di quella moda erano piuttosto le uniformi, davvero eleganti. Anch’io ho l’attitudine all’uniforme, qualcosa che identifica. Mi piacciono quelle della Rivoluzione russa, guardo alle immagini di Rodchenko. Sono fonti di ispirazione per il mio lavoro, che ho portato nell’Abramovic Method, dove i partecipanti indossavano tutti lo stesso grembiule bianco».

 
Mai sognato un paio di jeans, magari comprati a Trieste? «Non ho mai avuto, nè portato, nè amato i jeans. Questa ossessione non è mai stata la mia. Piuttosto avevo quella del cinema anni ’60: Sophia Loren, Claudia Cardinale, Monica Vitti e i film di Antonioni. Il “pocket dress”, non i jeans, “americani” e molto volgari».

 
Sua madre adorava la modafrancese. E lei? «Direi che ne era ossessionata. Ammirava la semplicità e l’eleganza. Lei aveva un guardaroba superbo, perchè si faceva fare gli abiti copiando i modelli dalle riviste francesi. Era una persona pubblica, aveva spesso incontri con politici, manon le piaceva lo stile semplice e ufficiale delle uniformi: gonna, camicia e giacca. Se le inventava da sè, ispirandosi alla moda francese. A me quel mondo non interessava».

 
Adesso Marina Abramovic ha un’icona della moda? «No. Funziona come per l’arte. Non mi sono mai ispirata a un altro artista, perchè l’artista è, a sua volta, sempre ispirato da qualcos’altro. La moda la creano i designer, non le persone che la indossano e si limitano a mettere insieme pezzi diversi. Mi interessano i creativi rivoluzionari, che inventano nuovi stili guardando il corpo».

 
Anche lei odiava la moda negli anni ’70 come tutti gli artisti impegnati?
«Assolutamente. Vestivo nel modo più semplice possibile, pantaloni, scarpe basse, capelli corti e niente trucco. Pensavo che la moda fosse qualcosa di decadente e volgare».
E quando si è sentita autorizzata ad amarla?
«Dopo la Grande Muraglia, dopo aver camminato per 2.500 chilometri. Mi sono detta: oddio, adesso voglio farmi crescere i capelli, mettermi i tacchi, vestirmi elegante. Nel film di Wim Wenders, Yamamoto dice che se entri nella stanza di una persona che dorme e guardi nel suo armadio, puoi subito capire se è un architetto, un panettiere, un minatore. Gli abiti ti definiscono. Attraverso la moda puoi essere quello che vuoi. È stato veramente liberatorio per me scoprire la magia di cambiare un abito e cambiare personalità. Una volta hanno chiesto a Issey Miyake perchè fa abiti così grandi. E lui ha risposto: perchè voglio che tra il corpo e il tessuto, lo spirito viva. Gli stilisti guardano allo spirito, al corpo, al colore in modo simile a quello degli artisti».

 
I suoi stilisti preferiti? «Sono diversi per aspetti diversi. Mi piace in assoluto Tisci, mi piace Costume National per la semplicità architettonica. Amavo Margiela, ma ora fa cose che non mi convincono. Mi piace tutto di Yamamoto e l’eccentricità e l’incredibile capacità di sorprendere con le sperimentazioni di Comme des Garçons».

 
E un abito che ha sempre sognato di indossare?«Ho un guardaroba molto semplice, basato sul bianco e nero.A volte penso che non ho ancora l’abito rosso perfetto. Sto aspettando che qualcuno lo disegni per me».

 
È la sua prima volta in una giuria di moda? «Sì, ma penso di aver maturato i criteri per capire che cosa funziona e che cosa no. Lo impari negli anni, attraverso i tuoi vestiti e guardando gli errori degli altri. Parlavo dei jeans: possono essere belli, ma per me non vanno. Il tuo corpo te lo dice. È molto importante che gli abiti non ti indossino, ma sia tu a indossare loro ».

 
La moda cos’è? «Una parte molto importante di ogni cultura. La definisce e la riflette».
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Marina Abramovic con Victoria Cabello all'ex Pescheria  di Trieste presentano l'undicesima edizione di ITS