martedì 16 ottobre 2012

MODA & MODI

Minetti e Fico, la testimonial è un boomerang

Parah ha dovuto precipitosamente chiedere scusa, dopo che il suo sito è stato sommerso da improperi per la scelta della "testimonial" Nicole Minetti in bi e tri-kini alla settimana della moda milanese. Pin Up Stars non è arrivata a cospargersi il capo di cenere, ma quanto a figura non è andata troppo lontano dalla griffe concorrente , mandando in passerella dentro (e fuori) dai suoi costumini il pancione di Raffaella Fico, ovvero l'unico dettaglio della vita privata sua e del nascituro che la showgirl non abbia ancora sciorinato ai quattro venti. Il motto è sempre lo stesso: anche volgari, purchè se ne parli. In un momento di saturazione dilagante, le aziende paiono più che mai convinte che arruolare personaggi dell'arrembaggio politico e del carrozzone dello spettacolo, o far sedere in prima fila qualche star, non importa se ripianata dal lifting purchè con toy boy al seguito, possa regalare visibilità internazionale, meglio ancora se le signore in questione documentano su twitter ogni loro spostamento. O se, come capitato a Sharon Stone, reduce dal party notturno di Just Cavalli, si sente male alla sfilata di Fendi, regalando così, in parti eguali a entrambi i brand, la spettante (e lautamente compensata) dose di mediaticità.
Cambia la front row alle sfilate, dove, accanto alle vip trascinate da un marchio all'altro, con il rischio che si dimentichino - vedi Kate Moss - quello di cui sono testimonial e quello che devono promuovere con la loro "ospitata" (il che, fondamentalmente, è lo stesso), siedono i blogger, gli unici ormai "logati" da capo a piedi. Poche idee, nessun rischio, tanto ritorno per loro stessi e per i marchi con cui instupidiscono la rete.
Eppure, sarà la crisi, l'aria sta cambiando, almeno nel mondo occidentale. A parità di prezzo, si ritorna alla sartoria, spopola il vintage, il capo anonimo è il nuovo snobismo. Fra sè e ciò che promuovono le Minetti e le Fico, si sente il bisogno di mettere le distanze. Come dalle collezioni pesanti e appesantite apposta perchè siano subito riconoscibili e databili, pensate per i ricchi stranieri che si attovagliano nelle griffe e sono gli unici a farle crescere. Viva la recession, viene da dire. Anche in "Venere in metrò" di Giuseppe Culicchia, la protagonista Gaia, milanese ex-ricca, si salva il giorno in cui non pensa più che il blog "The Blonde Salad", con il suo elenco telefonico di firme, sia l'unico punto di riferimento dopo la caduta del muro di Berlino.
twitter@boria_a


Nicole Minetti sfila  per Parah

domenica 7 ottobre 2012

IL LIBRO

Lisa Corva, l'amore nella città dove niente è ciò che sembra


Un incontro casuale sulla pagina Facebook di un'amica, una foto di cielo e una citazione colta del maestro dei cieli, il pittore John Constable, una maglia a righe indossata da un uomo ruvido ma pronto a farsi coccolare, prima via social network e poi chissà. Sembrano gli ingredienti per l'innamoramento perfetto. Se non fosse che la storia inizia nella città dove niente è quel che sembra, dove una vecchia astronave abbandonata su un cocuzzolo in realtà è una chiesa e una pompa di benzina griffata è stata promossa a bar da happy hour, dove i biscotti cilindrici e diritti affondati dentro un "Berliner" si chiamano "storti" e per chiedere un cappuccino bisogna specificare la dimensione della tazza.
Sul Molo Audace, insomma, anche il lui della virtuale storia da manuale non è quel che sembra. E alla lei di turno, Benedetta, non resta altro che lasciarsi alle spalle questa Trieste sottosopra e tornare a Milano, da una mamma ex figlia dei fiori e bisognosa di badante, e poi a Londra, dove ha messo nel cassetto una raffinata laurea in storia dell'arte sull'unguentario di Maria Maddalena, per dedicarsi a miscelare profumi per un molto più prosaico "brand" beauty. L'essenza che le è stata commissionata dalla solita star over-quaranta in cerca di una qualsiasi etichetta su cui appoggiare il proprio nome, deve catturare l'essenza di vecchi libri, pomeriggi di pioggia, biancheria sexy, torta di mele, desideri sospesi e cera per pavimenti.
Desideri sospesi? Fragranza inafferrabile, almeno quanto la sostanza dei sogni e l'odore di pulito della cera. Ma sarà proprio nella Trieste dei contrari, in un vecchio negozio sopravvissuto agli shopping center e all'assalto delle lanterne rosse, che Benedetta troverà la soluzione: non l'uomo di facebook, che resterà, appunto, solo un desiderio sospeso, ma un prodotto d'altri tempi. Come d'altri tempi, quelli prima dei social network e degli ingannevoli corteggiamenti on-line, sarà forse un altro amore che l'aspetta.
Comincia così, con un cameo dedicato alla sua città natale, il terzo romanzo della scrittrice e giornalista triestina Lisa Corva, "Ultimamente mi sveglio felice", da martedì in libreria per Baldini&Castoldi Dalai, pagg. 240, euro 14,90. Trieste, per la protagonista, è più che mai un "nessun luogo", la città le cui luci scopre emozionata in fondo al golfo sull'onda delle parole di Joyce alla moglie Nora, per poi perdersi in una confusione di caffè sbagliati, cieli alla Constable diventati improvvisamente ostili, abbracci equivocati di un uomo che lei si ostina a volere "reversibile", come un cappotto.
E di caldo, Benedetta (nome d'elezione, perchè all'anagrafe l'inossidabile genitrice-contestatrice l'ha chiamata Asmara) ha tanto bisogno, al punto da scaldare il letto col phon, sempre che l'aggeggio non sia incardinato alla parete di un bagno d'albergo. C'è una mamma che è sempre più fragile, un casting badanti da gestire, una capa-Grande Tagliatrice da accontentare per non essere sforbiciata su due piedi dall'organigramma, con la sola consolazione di una seduta gratuita dall'hair stylist, e pure un'isterica che pretende un profumo con dentro un guazzabuglio di contraddizioni: vecchie mele, pioggia di biancheria, pomeriggi sexy, torta di cera. O, ancora una volta, è tutto il contrario?
Per fortuna che ogni mattina, sul giornale gratuito impilato nei bar o abbandonato nel metrò, trova la citazione da una poesia, un pugno di versi per "accompagnare" la sua giornata. Versi dove Benedetta si rifugia, se il cielo è una feritoia raggelante come il neon dell'ospedale, con cui si arrabbia, quando la vita le assesta qualche colpo che di lirico non ha proprio niente.
Ultimamente mi sveglio felice, aveva scritto, nel suo ultimo "status" Skype, un'amica che non c'è più, un'amica-maglione, di quelli che non riesci a buttare nemmeno quando sono logori, perchè ne conosci ogni punto, ogni rammendo, ogni occasione, ogni abbraccio dato e ricevuto dentro di loro. È un ritaglio che si aggiunge ai tanti, celebri, selezionati da Lisa Corva quando era giornaliera "spacciatrice di versi" sul defunto "City", free press di Milano. Così, alla fine, la protagonista del libro scopre che è la nostra poesia domestica, intima, a farci scegliere la direzione giusta.
twitter@boria_a
Lisa Corva a Trieste fotografata da Jana Urbas

martedì 2 ottobre 2012



MODA & MODI

La giacca del candidato non fa la differenza

Può una giacca determinare la fortuna del candidato? Almeno può influenzarla, è la risposta di qua e di là dell'oceano, dove giovani rampanti, diversamente rottamatori, sono impegnati nella scalata al potere. Ha mandato in fibrillazione le croniste la presenza di Matteo Renzi, in prima fila alla sfilata di Scervino nella settimana della moda milanese (e perchè mai, poi?? Era ampiamente annunciata nella cartella stampa), salvo poi registrare che lo stilista fiorentino si occupa dell'abbigliamento del tour in camper dello sfidante di Bersani alle primarie Pd. Ampia o attillata? Scervino non ha dubbi. La giacca dell'"Adesso!" di Renzi è moderna e a tre bottoni, perchè il giovanotto ha bisogno di capi che gli permettano scioltezza di movimenti e gesti fluidi, in colori scuri che lo identificano e marcano la differenza con gli asfittici grigetti, da topo del catasto, del suo segretario. E poi, nessun riciclo, di guardaroba o nomenklatura: il politico moderno non deve essere né trascurato né démodé, perchè scelte simili denoterebbero poco rispetto per gli elettori e, sia mai, scarsa capacità di osare.
Un'altra giacca anima il dibattito, quella del vice scelto da Romney, il lanciatissimo economista Paul Ryan, definito da Tmz, "the hottest vice presidential candidate ever", il più impetuoso numero due mai comparso in una battaglia per la casa Bianca. Peccato che in Virginia abbia toppato di brutto: un modello di due taglie abbondanti sopra la sua, come Tom Hanks nel film "Big" quando si ritrova bambino nella giacca di se stesso adulto. Il critico di moda maschile del New York Times, Bruce Pask, lo affonda: Ryan appartiene a quella categoria di uomini che pensa che la taglia sia proporzionale alla mascolinità, sale l'una così anche l'altra.
Insomma, il problema sarebbe del guru dello stile, o ce l'hai o non ce l'hai. I conservatori americani sono allergici al tema dopo la debacle di Sarah Palin con tutta la sua esosa corte di stylist e parrucchieri. Da noi, pur in tempi di "review", qualche suggerimento modaiolo si può sempre infilare tra le spesucce dei partiti. In realtà, il candidato "maturo" per qualsivoglia poltrona dovrebbe essere indifferente alle mode ma anche alle critiche, come ci illumina "The art of being Winston Churchill". O basta guardare all'altra metà del cielo: Hillary Clinton va agli incontri di Stato con lo "scrunchie", l'elastico di stoffa per capelli simbolo della più bieca casalinghitudine, le ministre italiane portano con disinvoltura cotonature, rughe e camicie d'antan. Più che di tendenza, un problema di autorevolezza?

twitter@boria_a
Paul Ryan con Mitt Romney