martedì 30 aprile 2013

MODA & MODI

Pedalare senza fretta è chic


Pedalando senza fretta si può essere molto chic. E senza forzature, per un'inconscia sintonia con le due ruote. Che poi sono le "proprie" due ruote: grandi, piccole, colorate o monocromatiche, ultima generazione o vintage, personalizzate o no-logo, e via aggettivando con gli stessi termini che si utilizzano di solito per un abito o un accessorio. Le immagini dei "naturalmente eleganti" scoperti sulle strade metropolitane, che hanno fatto la fortuna dei primi blogger, oggi saturano la rete, proprio come quelle dei fashion-setter che si appostano - apposta per i fotografi - fuori dalle sfilate.
I ciclisti urbani sono il nuovo, quasi inesplorato serbatoio dello street-style. Ma, al contrario dei vari "sartorialist", mantengono (per ora) un'aria frizzante, spontanea, simpatica, a volte perfino un po' naif, senza quel compiacimento da "ho fatto l'abbinamento giusto e voi ve ne siete accorti" che hanno gli altri "comuni" mortali trasformati in animali da lookbook, da catalogo.
C'è un sito www.copenhagencyclechic, che è anche diventato un libro (per l'Italia, De Agostini) dove il blogger Mikael Colville Anderson cattura gli stili dei ciclisti in molte metropoli del mondo e visualizza l'affinità elettiva tra la bici e il suo conducente. Che è qualcosa di visibile ma non codificabile, un tutt'uno che si annusa, che si percepisce al colpo d'occhio. Due ruote rosse e una biker leopardata, manubrio maneggevole con signora in chiodo e frange metalliche, duetto eco-friendly con tanto verde e gran cestino di vimini. A Londra (londoncyclechic.blogspot.co.uk) la bicimania impazza al punto che si sintonizza il caschetto al proprio stile: metallico con unghie d'argento e scarpe da ginnastica borchiate, animalier per pantere urbane, variamente colorato per chi lo cambia ogni giorno e si confessa candidamente helmet-aholic. Nel nostrano italiancyclechic.comspopolano i binomi d'antan: due ruote d'epoca e pedalatori in tweed, lui in calzoni alla zuava, lei in cappotto e cappellino.
Il manifesto è lo stesso ovunque: la pedalata è un gesto estetico, l'eleganza è più forte della velocità, con la bici si esprime se stessi e si contribuisce a migliorare l'aspetto delle città congestionate. Lo dice Paolo Conte in "Velocità silenziosa": una bici si declama come una poesia per volare via.... Purchè la ciclomoda non diventi di moda, cercando di stupire più che di coglierci di sorpresa.

twitter@boria_a


martedì 16 aprile 2013

MODA & MODI

Studiocinque di Trieste firma gli abiti di carta

Abito di carta Studiocinque per il Salone del Mobile

Abiti e accessori della recessione o quintessenza dello spreco? La materia è la stessa, la loro natura duplice: non prosciugano il budget, però sono sfrontatamente esigenti quanto a ore di lavoro e impegno, come si addice ai prodotti di pura sartoria.
Una collezione di carta. E non nel senso che occupa intere riviste con la pubblicità, sembrandoci già vecchia non appena indossata in carne e ossa, ma proprio "fatta" tutta di carta. Che costa poco, è facilmente reperibile e offre una gamma di consistenze in grado di "piegarsi" o attorcigliarsi per diventare gonne, vestiti, borsette, spille e collane, perfino un abito da sposa, con fiori e una montagna di increspature, come vuole il più tradizionale contorno della cerimonia.


Sartine di carta, per autodefinizione, sono le triestine Ines Paola Fontana e RobertaDebernardi di Studiocinque e altro (www.studiocinqueealtro.com), che al Salone del mobile di Milano hanno portato la loro vena creativa, inesauribilmente esercitata intorno alla filosofia del riciclo ironico.


Carta da pacchi e carta da parati, velina e cartoncino sono la materia prima povera della collezione. E non c'è un solo foglio arrangiato intorno a un manichino per suggerire a spanne l'idea del vestito, ma tutti i pezzi sono costruiti sartorialmente in modo da essere esposti su una stampella, quindi con le misure, gli equilibri e il taglio richiesti dalla stoffa. Carta e tessuto "cadono" allo stesso modo, a uno sguardo veloce perfino ingannano.


Quattro-cinque ore di lavoro e ci sigilliamo in un bustino nero e una cascata di simil-trucioli, in un vestito con un ventaglio di plissè, in una gonna a corolla anni '50. Gli accessori, che Ines Paola e Roberta pensano di inserire nella collezione "Studiocinque", sono collane e bracciali ispirati alla tecnica dell'origami o grandi fiori dai petali sovrapposti, flower power antidepressivo. Le pochette hanno un gusto orientale, com'è nel dna delle due designer, e le quasi-birkin strizzano l'occhio all'originale pitonata. Vestiti e borse che durano una sola sera, così delicati da temere una goccia di pioggia: non c'è griffe esclusiva che si spinga a tanto. Moda alla carta.

twitter@boria_a

Design di carta: studiocinque e altro

domenica 14 aprile 2013

IL PERSONAGGIO

Almira Sadar, da Lubiana abiti all'uncinetto con grande ironia


Tradizione e modernità. Vecchio e nuovo. Lavorazioni recuperate dal sapere di mamme e nonne e attenzione al design più avanzato. Ingredienti che per la stilista slovena Almira Sadar si sintetizzano in due parole: "slow fashion". Come per la buona tavola, un modo di vestire senza frenesia. Una moda non di moda, non usa e getta, non legata alla stagione e quindi nata già datata, piuttosto una moda che si riallaccia a usi e costumi del territorio per vestire la donna di oggi.
Per la primavera-estate i suoi abiti sono cosparsi di fiori. Grandi, colorati, pieni di energia. Flower-power come terapia anti-recessione, almeno dal punto di vista psicologico. Appena tornata dal Giappone, dove ha preso parte a un programma europeo per stilisti e ha presentato la sua prossima collezione invernale, Almira Sadar si è trovata in perfetta sintonia con i colleghi nipponici. Due latitudini che si toccano nel gusto per il taglio architettonico - che a lei deriva dagli studi universitari - per il rigore e una vena un po' ludica. Come in quelle sue "volpine" di stoffa, di tartan, a pois, una sciarpa divertente e ironica che propone da sempre e quest'anno è più che mai a prova di crisi.
In Giappone ha visto qualcosa che l'ha ispirata e che pensa di sviluppare in futuro?
«Il Giappone è uno dei paesi più stimolanti del mondo, puoi davvero toccare con mano ovunque l'intreccio della tradizione profonda, della modernità e alta tecnologia. Ma c'è una caratteristica comune negli stilisti: l'attenzione al dettaglio e il senso dell'ordine».
Nel suo negozio di Lubiana c'è la nuova collezione primavera-estate 2013. Molti fiori e pois. Un segno di ottimismo, vista la situazione economica?
«Non credo che la situazione attuale debba spingerci a vestire abiti neri e pessimistici. Da quanto mi ricordo, di crisi qui ne abbiamo già passate altre e di diversi generi. La vita va avanti e tutti dobbiamo adattarci ai cambiamenti che presenta».
Lei ha chiuso un negozio qualche mese fa e da poco ne ha aperto uno nuovo. Questo sì che è un segno di ottimismo...
«Non tutti i cambiamenti sono necessariamente negativi. Il negozio di prima era diventato troppo grande e troppo costoso e volevo che la relazione con le mie clienti fosse più personale. Le mie collezioni nel nuovo negozio sono più piccole e nuovi pezzi arrivano in continuazione. Mi rinnovo più in fretta».
Lei propone maglie molto colorate, fatte all'uncinetto. È un'appassionata di lavorazioni tradizionali?
«Negli ultimi anni la moda è cambiata moltissimo. La globalizzazione, la "fast fashion", l'informatizzazione, hanno completamente rivoluzionato il ciclo precedente. Io credo nel concetto della "slow fashion", che sta proprio all'estremo opposto: il rispetto per le identità del territorio e quindi la ripresa delle lavorazioni artigianali e della cultura del DIY, "do it yourself", ovvero del fai da te».
Che però combina con tagli al laser...
«Molte delle moderne tecnologie si fondano in quelle tradizionali. Questo è evidente proprio nel lavoro di un giapponese: Issey Miyake è lo stilista più avanzato tecnologicamente, ma il suo lavoro per la maggior parte deriva dalla ricca tradizione dell'artigianato».
Nella sua boutique si tengono corsi di uncinetto. È la crisi che ci riporta a questi "lavori domestici"?
«La cultura del Diy non è soltanto un revival delle lavorazioni manuali, ma ha a che fare con lo sviluppo della propria creatività e con la socializzazione tra le persone. Signore di varie età e professioni si incontrano una volta la settimana nel mio laboratorio, e insieme lavoriamo all'uncinetto, a ferri, cuciamo... e anche ci raccontiamo storie della vita di ogni giorno di ognuna di noi».
Quando ha scoperto che voleva diventare una stilista?
«Sono sempre stata interessata a molte cose contemporaneamente. Se non fossi diventata una stilista, avrei studiato matematica».
Com'era la sua prima collezione?
«Una serie di camicie bianche di cotone, che si basavano su quelle maschili».
E adesso, che cosa la ispira quando si tratta di crearne una nuova?
«La vita di ogni giorno, la famiglia, i viaggi, i libri, i film, gli amici...».
Suo marito è uno dei più famosi architetti di Lubiana, il suo studio ha progettato il primo design hotel in Slovenia. La influenza?
«Veramente guardo, commento e anche critico il lavoro di mio marito. Non è particolarmente interessato alla moda, quando ci confrontiamo parliamo piuttosto di design, architettura e arte».
Lei è stilista e insegnante. Quali sono i sogni dei suoi studenti?
«Insegno Fashion design all'Università di Lubiana. I miei ragazzi sono molto creativi e lavorano sodo. Il futuro li preoccupa, nel senso che vogliono diventare stilisti capaci e con una base solida».
Che consigli dà loro, per aiutarli a muoversi in questo mondo piuttosto complicato?
«Li aiuto a sviluppare la creatività che hanno e a misurarsi con tecniche diverse. Questa è la base di partenza. Ma dico loro che devono essere consapevoli che senza un lavoro duro non otterranno alcun risultato».
Che suggerimento darebbe al nuovo premier sloveno, Alenka Bratušek?
«È molto ben vestita. Dalle mie collezioni, sceglierei per lei una sciarpa di seta».
E alla nuova star dello sport, Tina Maze?
«È così potente che davvero non ha bisogno di molto. Se le dovessi regalare un vestito, punterei su qualcosa di estivo e molto colorato, per le sue vacanze ben meritate».


Qual è lo stilista italiano che le piace di più?
«Giambattista Valli. Mi piace la poesia che c'è nel suo lavoro, la relazione che crea con i materiali e con le nuove fibre, la ricerca di silhouttes sempre interessanti. Assistere a una sua sfilata è come entrare in una favola.».
Come vede Trieste da Lubiana?
«Quando vengo a Trieste mi sento sempre una turista, adoro bere il caffè e guardare il passeggio. La strada che immette alla città è speciale, con la vista del mare a perdita d'occhio. Mi piace Trieste specialmente il sabato pomeriggio, quando c'è tanta gente in giro, mentre Lubiana si svuota».
Una donna italiana con cui vorrebbe confrontarsi?
«Mi interesserebbe fare una chiacchierata con Miuccia Prada e con Elsa Schiaparelli, come quella "virtuale" che l'anno scorso ha organizzato il Metropolitan Museum di New York».
@boria_A

martedì 2 aprile 2013

MODA & MODI


Anche le scarpe del "sì" cedono al tran-tran

Era un diktat del buon gusto, nella moda di un'epoca ormai pre-istorica, pre-rete e pre-blogger: mai indossare le scarpe bianche del matrimonio. Come "mai il blu col marrone", ormai anch'essa obsoleta, la regola dell'unica volta perl e décolleté della cerimonia veniva trasmessa per via orale da mamma a figlia. Ri-mettersi le scarpe bianche era più o meno come girare con un lampeggiante ai piedi: sposa novella, segnalava, e pure un po' micragnosa o in condizione di effettiva necessità, al punto da strappare le preziose calzature al loro sarcofago nell'ultimo ripiano dell'armadio, per sottoporle allo stress di ogni giorno. Come girare col velo sopra il cappotto: impensabile.

Sarà perchè il matrimonio standard è in crisi, nonostante il martellamento dei mercatini tv con mamme e suocere ancora future e già urlanti che si improvvisano stylist per un giorno, ma le scarpe bianche tentano di affrancarsi dal corredo e di uscire allo scoperto. Se prima, con l'idea di un possibile riciclo, ci si rifugiava per vestito e calzature in colori panna o pastello, oggi si torna alla tradizione: tacco a stiletto, punta affilata e un bianco accecante. Le più anticonvenzionali propongono un bordino acido o un cinturino colorato alla caviglia, ma la loro anima è candida che più di così non si può.


Candida, appunto. E per quanto? Il bianco è già un incubo per le borse, che alla prima uscita pubblica, a meno di non guardarle a vista, catturano su bordi e cuciture il più inavvertibile granello di sporco. E lì rimane per sempre, a prova di detergenti. Figuratevi una bella pump biancolatte, che appena lasciato il perimetro dello zerbino, sarà messa a dura prova da pietre, pozzanghere, pestoni e deiezioni di animali vari. Un percorso di guerra, a meno di non camminare con gli occhi piantati sul marciapiede.


Secondo interrogativo: con che cosa abbinarle? Coi jeans sembrano posticce, come le loro antenate. Con i vestitini floreali della primavera non c'entrano, rompono l'equilibrio. L'ideale sarebbe un total white, con filo di abbronzatura e un trucco perfetto. Non a caso le prime sponsor del look meringa sono blogger e it-girl, leragazze-icona, belle, ricche e serenamente sfaccendate, il cui compito è mettersi addosso, spesso neppure con grazia, qualsiasi assurdità ricevano in dono dagli stilisti. Ma loro arrivano direttamente in taxi davanti all'obbiettivo del fotografo e quelle scarpe bianche, sempre in taxi, se le cambiano subito dopo il primo scatto. Per non rimetterle mai più. Come quelle da sposa.
twitter@boria_a