lunedì 1 giugno 2015

IL PERSONAGGIO

Anita Pittoni, designer futurista a Trieste


Disegni, cataloghi, lettere, contatti in un piccolo fondo che racconta l'inizio dello Studio d'arte decorativa dell'artista e scrittrice 
 



La creatrice di moda, e poi scrittrice triestina, Anita Pittoni

Anita Pittoni futurista. Anzi, costumista futurista. E, fin dai suoi esordi come creatrice di moda, subito a contatto con i fermenti sperimentali, con le avanguardie della cultura italiana, a cominciare dal regista Anton Giulio Bragaglia e la sua “polifunzionale” “Casa d’arte”, ritrovo di intellettualità e mondanità romana.
Il nome di Anita fa capolino in una brochure rarissima. È quella de “La veglia dei lestofanti. Commedia jazz”, adattamento di Alberto Spaini e Corrado Alvaro all’opera di Brecht, andato in scena con gran clamore al Teatro sperimentale degli Indipendenti di Bragaglia nel 1930. Anita “Tosoni Pittoni” è indicata come costumista, l’architetto Antonio Valente come scenografo. Era stato il grafico Marcello Claris a introdurre Anita nella cerchia di Bragaglia. Siamo nei primi anni Venti, la designer triestina lavora ai costumi teatrali che sono un’entrata economica sicura (e li firma col suo “logo”), ma ha già in mente, in nuce, quello che sarà il futuro laboratorio.

 
L’ispirazione potrebbe esserle venuta dalla compagna di Anton Giulio, Giuseppina, che nello “Studio decorativo” della Casa d’arte romana produce cuscini, bambole, ventagli, paralumi, paraventi. Oppure dall’omonima Casa d’arte futurista fondata nel 1920 a Rovereto da Fortunato Depero e dalla moglie Rosetta, una sorta di museo dissacrante e lungimirante, dove si sperimenta la commistione, l’abbattimento dei muri tra le arti.



Anita legge anche il periodico di politica e arte “Cronache di attualità”, un’altra creatura del vulcanico Bragaglia, e sul risvolto di copertina di cinque numeri della rivista, tra il 1921 e il ’22, disegna, “alla Depero”, altrettanti costumi a matita grassa, gialli, neri, rossi e blu. Le “Cronache d’attualità” di Bragaglia non sono una rivista di provincia. Nei numeri conservati nel fondo Pittoni compaiono scritti di Pirandello, Corrado Alvaro, Sibilla Aleramo, Aldo Palazzeschi, xilografie di Depero, illustrazioni di Prampolini. E al Teatro degli indipendenti - quello per cui Anita ha esordito come costumista - vengono allestite mostre di Balla, Klimt, Schiele, oltre che Depero, Prampolini, il triestino Dudovich, il ceramista Cappelletti.

Anita Pittoni è agli inizi della sua avventura di designer, ma ha già contatti culturali preziosi e l’intelligenza di guardare a quanto nel mondo dell’arte e dell’artigianato d’autore accade a Roma e Milano, a Berlino, Parigi, Vienna. I suoi schizzi rispecchiano a pieno i dettami del “Manifesto della moda femminile futurista” di Volt (al secolo il poeta e giornalista Vincenzo Fani Ciotti), che promuove colori squillanti e forme asimmetriche, e vuole invadere gli atelier di materiali poveri come cartone, vetro, stagnola, alluminio, tela d’imballaggio, stoppa, canapa. La donna futurista deve osare nel guardaroba, sperimentare forme nuove, spirali e triangoli, e materie rivoluzionarie che costano poco.



 Anita Pittoni prova a  ideare il logo del suo Studio d'arte decorativa. Sono gli anni degli intensi rapporti con l'ambiente futurista

Pittoni coglie questi spunti e li fa suoi. Comincia dal suo logo - AP, PA, Anita, racchiusi da un cerchio, da un rettangolo o un quadrato - che si esercita a disegnare dietro un raro manifesto di Vito Timmel dedicato alla I Grande lotteria della fiera triestina, 3-18 settembre 1922, stampato da Modiano. Sullo stesso foglio, disegna “futuristicamente” giocattoli, un albero di Natale, un vaso di fiori, incrociando forme geometriche e assemblando i colori brillanti, giallo, rosso, arancione, col blu e nero dei contorni. Sul bordo del manifesto compare l’etichetta: “Anita Pittoni - Studio d’arte decorativa - Trieste - D’Annunzio 1”, l’indirizzo dell’abitazione.


Le amicizie, le influenze, gli scambi, le suggestioni e le ispirazioni della “prima” Pittoni, quella che Bragaglia chiama “indiavolatissima triestina”, ci sono restituiti dalla sua biblioteca di moda, un piccolo ma prezioso corpus acquisito dall’editore e libraio Simone Volpato, che lo esporrà nei prossimi mesi nel suo negozio antiquario Drogheria 28. Libri, riviste, cataloghi, corrispondenze, testimonianze di partecipazioni a fiere ed esposizioni raccontano l’avvio, lo sviluppo e la vita quotidiana dello studio d’arte decorativa di Anita, ma ancora di più i rapporti che sa intrattenere ad altissimo livello, con intellettuali e futuri committenti. Un patrimonio significativo per ricostruire la personalità della poliedrica artigiana, talent scout, editrice e scrittrice triestina, che farà gola ai musei di Trieste e Gorizia così come ai privati collezionisti.

 
Il fondo racchiude inoltre i doni che alla Pittoni fecero Emilio Dolfi, Livio Corsi e Marcello Claris. Da quest’ultimo riceve un piccolo tesoro, tre chicche firmate da Giorgio Carmelich: un numero della rivista “Epeo”, da lui fondata, relativo al libro di Vittorio Locchi sulla sagra di Santa Gorizia, e due collage dedicati alla “moda meccanica” e al teatro di sintesi-scenografia orientale.


"Samurai in scenografia orientale" di Giorgio Carmelich

Letture, contatti, ma anche attenzione alle produzioni contemporanee e forse l’idea di una rete di relazioni commerciali blasonate. Sta concretizzandosi per Anita l’idea di dedicarsi alle creazioni di moda, un’idea che coccola da tempo se - come testimoniano alcune corrispondenze - già anni prima, all’epoca dei contatti col “circolo” Bragaglia, nell’intestazione di lettere a lei indirizzate si parla di Lavori per arredamento, di Laboratorio lavori femminili e Studio d’arte decorativa.
 
Nello stesso anno in cui va a Vienna, nel 1928, la designer visita la Fiera della moda al Palazzo della Moda di Milano e nella corposa brochure che la illustra annota le stoffe di suo interesse - kasha, vigogna, lane d’angora, stoffe di lana a lamè oro e argento - e una serie di case di moda con cui interloquire. Anni dopo, tra il 1935 e il ’36, l’attività, già ben avviata, guarda a potenziali, importanti clienti, che “spunta” nella sezione triestina del Comitato delle patronesse sul fascicolo dell’Ente nazionale della moda Torino. E non sono testimonial da poco: marchesa Enrichetta Sospisio del Monte Bourbon, contessa Anna Segrè Sartorio, baronessa Maria Banfield Tripcovich, contessa Elisabetta Dentice di Fasso, signora Eleonora De Gutman Salem, signora Clori Artelli Pitteri, signora Nidia Frigessi di Castelbolognese. Nella sezione veneziana delle patronesse, invece, Anita si appunta le contesse Nerina Volpi di Misurata, Annamaria Foscari, Lyda Cini.



 I disegni alla Depero di Anita Pittoni dietro il manifesto di Vito Timmel

Libri - spesso con annotazioni e disegni originali a bordo pagina - riviste, pubblicazioni, campionari di stoffe (interessante quello dell’atelier Kunis di Berlino) raccontano gli stimoli che, negli anni, vanno concentrandosi in via Cassa di risparmio, dove trasferirà l'attività.

Anita segue con attenzione le critiche d’arte milanesi su “Emporium” di Raffaello Giolli, marito della pittrice e disegnatrice di tessuti Rosa Menni, con cui entra in contatto e collabora. Si interessa all’arte e alla cultura giapponese, com’è testimoniato dal catalogo di un’esposizione a Roma nel 1930 e da una serie di libretti del 1935-’36 su architetture, paesaggi, tradizioni nipponici. Raccoglie i numeri di “Bellezza”, “La donna”, “Cordelia” (a Trieste si forma anche un gruppo di fan “cordelliane”), “La moda della lana”, edita dalla Lana Rossi, dove, su un numero del 1934, sottolinea “l’originalità del vestito è strettamente legata all’originalità della stoffa impiegata... fibre vegetali commiste a fibre metalliche e cellophane...”.
 
Il suo è uno spazio aperto al mondo e in costante aggiornamento. Fin dagli inizi le piace sperimentare e conserva come una reliquia il volume di Carlo Carrà, “L’arte contemporanea alla prima biennale internazionale di Monza” del 1923 dove, nel capitolo su arazzi, pannelli, tappeti e merletti, l’autore cita tra gli espositori l’Associazione del batik di Trieste, di cui Anita fu tra le animatrici. Un ideale trait d'union con la odierna mostra "Mondi a Milano", al Museo delle culture fino al 19 luglio, dove, nella sezione dedicata alle Biennali e Triennali dei primi decenni del Novecento, sono esposti un due pezzi frangiato e i relativi e minuziosi cartamodelli con gli appunti di Anita.

twitter@boria_a

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