lunedì 30 gennaio 2017

MODA & MODI

Milioni di micette sferruzzano contro The Donald





 Contro la Brexit è stata la spilla da balia l’oggetto da indossare per manifestare solidarietà ai non britannici a rischio xenofobia: nata per unire qualcosa di scucito, è tornata al suo utilizzo originario nel Regno Unito strappato dall’Europa. Nell’America del presidente Trump è un berrettino rosa con le orecchie da gatto, che tutte, anche le absolute beginners dei ferri da calza, dell’uncinetto e dell’ago possono confezionare facilmente (https://www.pussyhatproject.com/knit).

Trump l’ha detto: grab them by the pussy, prendi le donne per il loro organo genitale (e non per il simpatico micetto con cui condivide la definizione in slang). Ma The Pussy, proprio quella che intende il presidente, ha marciato contro The Donald. Ha tirato fuori le unghie ed è diventata il cuore di un progetto che, grazie alla viralità della rete, ha attraversato il paese. The pussy power hat, il berretto del potere femminile: una marea rosa che il 21 gennaio 2017 ha invaso Washington e che continua a salire, dentro e fuori gli States. 

Perchè, dicono le ideatrici, la sceneggiatrice Krista Suh e l’architetto Jayna Zweiman, amiche e sferruzzatrici amatoriali, the Pussy power hat project non è un momento, ma un movimento. E per aderire non occorre scendere in piazza, o trovarsi in America, si può partecipare ovunque, anche da casa propria o dagli angoli più sperduti della terra, con un gomitolo di lana e un paio di ferri. E l’impatto della viralità non è solo la rete: bastano due amiche che agucchiano un paio di orecchie da gatto sul divano ed è già protesta.

Krista Suh e Jayna Zweiman (foto Jayna Zweiman)


L’ago di sicurezza e il berretto rosa, due accessori banali (anzi, il primo, un rimedio da borsetta promosso ad accessorio) condividono la forza di un simbolo che fa subito breccia. Sono facili, a portata di mano, immediatamente comprensibili, accessibili a tutte, per reperibilità e costo: chi non ha in casa una spilla da balia o un po’ di lana, magari di un maglione disfatto? Entrambi non hanno connotazioni politiche o nazionali, ma sono adatti a trasmettere messaggi, a dar forma a un’idea: basta divisioni, discriminazioni, emarginazioni. Basta muri.


Nel pussy hat, però, c’è qualcosa di più dirompente: lo sberleffo che fa di una battuta triviale un boomerang. Il ridicolo è la prima bomba intelligente caduta sul neopresidente. E oggi ci sono milioni di Pussy, gattine pink con le orecchie appuntite, pronte a prendere lui (the pussy power hat si può confezionare anche all’Associazione italo-americana di Trieste, il giovedì alle 10, nel “maker space”: aia-fvg.blogspot.it).
@boria_a

sabato 28 gennaio 2017

 IL PREMIO

Broodbank, il Nonino anti-Brexit









«Siamo qui oggi a Udine, situata fra le Alpi e il mare, e quale luogo migliore per affermare non solo che, qualsiasi cosa possano pensare i miei compatrioti, siamo ancora tutti europei, ma anche che in un certo senso tutti noi, che abitiamo questo straordinario pianeta, siamo oggi mediterranei». Scatta l’applauso, il primo non rituale, alle parole dell’archeologo e accademico inglese Cyprian Broodbank, Premio Nonino 2017. Il suo messaggio diretto e forte, che evoca quella casa comune cui la Brexit da dato un’odiosa spallata, crea subito empatia e il parterre degli oltre seicento invitati alle distillerie di Ronchi di Percoto, lascia per un attimo la degustazione di ricotta e mostarda di cotogna, per rispondere con slancio.


L'archeologo Cyprian Broodbank (foto Petrussi)


Perchè è un’edizione di ponti, tra terre, popoli e generazioni, di passaggio di sapienze ed esperienze, quella che la famiglia di grappaioli friulani ha voluto celebrare quest’anno, nel centoventesimo anniversario dell’azienda fondata dal bisnonno di patrón Benito, quell’Orazio, partito con un alambicco su due ruote per girare il Friuli, e più volte evocato nel corso della festa di ieri. Poco prima, nel presentare Broodbank e il suo libro “Storia del Mediterraneo” che gli è valso il riconoscimento, lo stesso appello era risuonato nelle parole del poeta Adonis, membro della giuria: «Ci sono due Mediterranei, quello tragico del presente, della violenza, delle guerre, delle migrazioni. E quello del passato: dell’alfabeto, di Omero, di Ulisse, dei primi interrogativi sull’universo e della prima poesia d’amore. Quello del rapimento della siro-libanese Europa. Ed è a questa Europa comune che la giuria ha assegnato il premio».



Isabella Dalla Ragione e Giannola Nonino (foto Petrussi)


Nello stabilimento l’atmosfera è calda, quest’anno più che mai. Omero Antonutti legge. Come sempre c’è tutta la famiglia Nonino sul palco, dai patriarchi alla nidiata glamour delle it-nipoti (e nipote maschio, ma non c’è partita, l’impatto è femminocratico...). Ai tavoli il mondo imprenditoriale e culturale della regione, vecchi amici come Rosita Missoni, Cesare Romiti, Ermanno Olmi, che è anche in giuria, e il divo masterchef Joe Bastianich, su cui si incollano telecamere e giornalisti. Si compie il tradizionale rito d’apertura mentre si alzano le note di “Libiam”, con Benito e le figlie, tutte e tre di pellevestite, che indossano guanti e grembiuli per aprire i giganteschi alambicchi e offrire agli ospiti la grappa dell’anniversario. Tra i tavoli doppiopetti e calze a rete e un lungo fiorato (finito spesso sotto scarpe altrui). Potenza del Nonino: convogliare per una volta all’anno, in nome della cultura e di un po’ di familiar mondanità, un esercito di tacchi dodici tra le brume della campagna friulana, a condividere un desco griffato di “uardi e luianie” e “polente di sorturc”.



Joe Bastianich sorseggia un Nonino tonic


Il copione è rodato, da quarantadue edizioni, eppure la trascinante Giannola si commuove ancora. Prima nell’abbracciare il marito («te lo saresti mai aspettato che dalle vinacce del tuo bisnonno, avremmo fatto il miglior distillato al mondo?»), poi, qualche minuto dopo, accanto all’agronoma Isabella Dalla Ragione, premio “Risit d’aur”, ricordando che anche il “Nonino” è nato dal suo stesso impegno, per salvare gli antichi vitigni autoctoni friulani, Schioppettino, Pignolo, Tazzelenghe, dagli esordi della globalizzazione dei gusti.


Ponti e terre, dunque. Ponti e terra. Di cui ha raccontato, in un intervento emozionante, lo scrittore Pierre Michon, al quale Claudio Magris ha consegnato il “Nonino internazionale”. Voleva allontanarsi dal mondo contadino, Michon, ed essere un autore d’avanguardia, come la moda del momento dettava. Omologarsi nelle lettere, come altri fanno nei gusti. «E poi - ha detto - una sera ho rivisto quell’orto, che mio nonno Felix aveva coltivato alla fine dei suoi giorni. L’ho rivisto mentre si affaticava su quella terra, lui che aveva sofferto di essere contadino e soffriva di non poterlo essere più. Mi si è stretto il cuore nel vedere che di tutti i suoi sforzi non restava che un cumulo di rovi ed erbacce. E mi sono detto: abbandona le tue storie intelligenti e vane. Riprendi la coltivazione di quell’orto. Fa’ rivivere tuo nonno». Dal mondo contadino del Limousin, da quel ritaglio abbandonato, intorno al 1980 è nato “Vite minuscole”: storie di sbandati, idioti, ingenui, storie «cupe» e personaggi «feroci», come li ha definiti Magris, attraverso cui Michon confessa di aver trovato «l’umanità in generale, la possibilità di accedere all’universale».


E sull’umanità, anzi sulla «finitezza dell’essere umano», ruota tutto il lavoro del filosofo inglese John Gray, insignito del premio a un “Maestro del nostro tempo 2017”. Un pensatore che si sente in sintonia con Leopardi e col suo ri-collocare, nello Zibaldone, l’umanità come parte integrante del mondo naturale. E con questo approccio ha analizzato l’economia globale, Al Qaeda e l’Isis, le forme politiche e la religione, gli sviluppi della ricerca. «La scienza - ha spiegato - è diventata il veicolo di miti apocalittici in cui l’umanità immagina di potersi divinizzare e di prendere il controllo del pianeta: un progetto assurdo e autodistruttivo. Nè la tecnologia nè la scienza hanno il magico potere al quale oggi credono in tanti. Siamo cambiamento incarnato in modi che non possiamo capire».



Pierre Michon ed Elisabetta Nonino (foto Petrussi)


Infine l’archeologa delle piante, Isabella Dalla Ragione, premiata, meritatamente, con la “barbatella d’oro”. In Umbria strappa all’estinzione frutti i cui nomi sanno di terra e di fiaba: la mela a muso di bue, il fico gigante degli zoccolanti, la susina scosciamonaca. «Condivido con i Nonino - ha detto - la tenacia e la forza nel salvare le radici. Noi sappiamo quanto è bassa la terra e quanto scotta il sole, ma sappiamo anche che più gli alberi hanno radici profonde più crescono in alto. E noi vogliamo crescere verso il futuro».
È il messaggio dell’edizione del Nonino dei 120 anni, sintetizzato coloritamente da Giannola: «Lotta continua!». Contro libri, pensieri e sapori seriali, s’intende.


 
Il filosofo John Gray (foto Petrussi)


@boria_a

martedì 17 gennaio 2017

 IL FESTIVAL

Monica Bellucci, superdiva a Trieste Film Festival




In televisione la vedremo a maggio in “Twin Peaks”, la serie cult scritta e diretta da David Lynch che ritorna dopo ventisei anni, su Sky Hd, con un cast di stelle. Per il pubblico e i fan di Trieste Film Festival non occorrerà attendere quella data, nè accontentarsi del piccolo schermo. Per loro l’incontro col fascino e la sensualità di Monica Bellucci sarà a distanza ravvicinata, tra qualche giorno, e proprio a Trieste. L’attrice italiana più internazionale sarà infatti ospite del Tff, per ricevere, il 28 gennaio 2017 alla Sala Tripcovich, l’Eastern Star Award 2017, il premio con cui gli organizzatori segnalano ogni anno una personalità del mondo del cinema che, con il suo lavoro, ha contribuito a gettare un ponte tra l’est e l’ovest dell’Europa. Monica Bellucci accompagnerà il film scelto per chiudere la ventottesima edizione del festival, “On the milky road” di Emir Kusturica, presentato in concorso alla scorsa edizione della Mostra del cinema di Venezia e di cui l’attrice è protagonista accanto allo stesso regista serbo.

 
Monica Bellucci ed Emir Kusturica alla Mostra del cinema di Veezia 2016 con "On the milky road"




L’anno scorso l’Eastern Star Award del Trieste Film Festival andò a Iréne Jacob, un riconoscimento “alla carriera” per una delle muse del regista polacco Krzysztof Kieslowski. Quest’anno è stato scelto di premiare, con l’interprete umbra, oggi cinquantaduenne, anche una serie di curiose “prime volte”: il suo incontro col più visionario degli autori dell’Est europeo, il debutto dello stesso Kusturica nei panni di attore, la recitazione dell’attrice in serbo.

Un anno magico il 2016 per Monica. E non solo per “Twin Peaks”, dove, tra i 217 attori e attrici che compongono il cast, lavorerà accanto ad altre new entry come Naomi Watts, Tim Roth, Jim Belushi, Laura Dern, Jennifer Jason Leight, Amanda Seyfried. La scorsa estate ha girato a Venezia quattro episodi di un’altra celebre serie, “Mozart in the jungle”, vincitrice del Golden Globe per la miglior commedia musicale e del Golden Globe per il miglior attore nel genere, Gael García Bernal, che interpreta l’eccentrico direttore d’orchestra Rodrigo De Souza. Nella serie, la Bellucci è Alessandra, una cantante lirica che cerca di riconquistare il successo dopo anni di oblio. Poi la Biennale Cinema a Venezia con “On the milky road”, che ha chiuso il concorso del Lido, e, tra pochi giorni, il riconoscimento a Trieste per la stessa pellicola, presto in uscita nelle sale italiane.



"On the milky road"


Il film è una favola moderna ambientata sullo sfondo della guerra nell’ex Jugoslavia, metafora di tutti i conflitti. Ogni giorno il contadino Kosta, schivando le pallottole, attraversa il fronte a dorso di mulo per portare il latte ai soldati di una caserma. È amato da Milena (Sloboda Micalovic), la più bella ragazza del paese, ma quando arriva la Sposa, una misteriosa Monica Bellucci, promessa a un ufficiale dell’esercito fratello di Milena, tra i due scoppia la passione. Un amore proibito che li trascinerà in una serie di fantastiche e pericolose avventure: la fuga in uno scenario devastato inseguiti da tre cecchini, mine antiuomo e serpenti, alberi e cascate da affrontare abbracciati, in un racconto dove gli animali sono protagonisti al pari degli uomini.


«Siamo felici che una star internazionale come Monica Bellucci abbia accettato il nostro invito», spiegano i direttori del festival triestino, Fabrizio Grosoli e Nicoletta Romeo. «La proiezione di “On the milky road” e la consegna dell’Eastern Star Award saranno l’occasione per celebrare un’autentica diva, che nel corso della sua carriera ha legato il proprio nome, oltre che a tanto cinema italiano, anche ad autori di tutto il mondo».



Monica Bellucci in "Le meraviglie" di Alice Rohrwacher


Dal 2000, quando uscì “Malena” di Tornatore, segnando l’affermazione definitiva nel cinema e una popolarità internazionale sempre più vasta, a “Spectre” del 2014, ventiquattresimo capitolo di James Bond diretto da Sam Mendes, dove, a cinquant’anni compiuti, diventa la “bond girl” più attempata della saga, la carriera di Monica Bellucci è lunga e densa. Tra gli italiani l’hanno diretta Virzì, Calopresti, Giordana, Muccino, Alice Rohrwacher ne “Le meraviglie”, gran premio della giuria a Cannes. Tra gli stranieri, ha lavorato con Terry Gilliam, Mel Gibson, i fratelli Wachowski di “Matrix Reloaded” e “Matrix Revolution”, e ancora Philippe Garrel, Bertrand Blier, Guy Édoin, regista del drammatico “Ville-Marie” con cui, nel febbraio 2016, è stata riconosciuta miglior attrice al Dublin International Film Festival. Un anno dopo è attesa a Trieste e il festival fa il botto.

@boria_a

lunedì 16 gennaio 2017

 MODA & MODI


Il potere del kittenheeling




 


Theresa May, primo ministro britannico, avanza inesorabile verso la Brexit sui suoi tacchetti da gattina. Per lei i kitten, sempre sotto i cinque centimetri, non sono un trend, li portava già nel 2002, in pieno stiletto-boom. Viste le proporzioni della premier britannica, piedi compresi, la sua è una scelta accorta, per non sembrare ancora più ingombrante e legnosa. Adesso che i kitten tornano in auge, che si sono visti in passerella, l'Inghilterra si divide, e non solo dall'Europa: a nessuna millennial piace condividere i gusti di una conservatrice che cammina, seppure da un’altezza ragionevole, sopra il suo futuro. Ma è solo comodità? Come per l'handbagging (il prendere a borsettate) della Thatcher, un accessorio utile può diventare verbo di potere assoluto, senza rinunciare al glamour. Non siamo ancora al kittenheeling di Theresa, resta il fatto che sull'isoletta, per dirla con lo scrittore Bill Bryson, in questo momento l'indecisione, almeno nella scarpa, regna sovrana.

Le inglesi se ne faranno una ragione. I kitten, come puntualmente avviene ogni paio d'anni, sono di nuovo molto “it”. Il motivo? Cambiano le sfumature, ma il tacco baby ha dalla sua sempre un'ottima spiegazione: la praticità. L'indossabilità per tutto il giorno, la versatilità di adattarsi a qualsiasi ora e occasione. Da anni quella piccola misura non ha niente a che fare con l'idea di una signora in età che ha rinunciato a piacersi, incolore e insapore. Della May tutto si potrà dire ma non che le manchino senso dello stile o compiacimento nel farsi notare, a partire dagli accessori per finire con spacchi, ginocchia e braccia scoperte (per inciso: sarà anche la prima premier britannica sulla copertina di Vogue America, il prossimo aprile). 


Non ci vengono nemmeno più in mente le protagoniste di Mad Men, così aggraziate nei loro kitten neri o carne, equamente divisi tra obiettivi di seduzione e volontà di emancipazione. Kitten da acchiappo o da scalata, insomma.
Oggi i designer su quel pugno di centimetri mettono alla prova materiali e creatività, colori e inserti, trasformano il mini tacco in un punto esclamativo, in un’asseverazione, non nell'incipit di uno stiletto mancato. Non c’è niente di indeciso, non è una rinunciataria o rassegnata mezza misura. Dai dieci centimetri in su si può solo gridare, spesso ordinariamente. Il kitten suggerisce, come una trasparenza: è discreto ma non scontato. Dà stabilità. Non ci fa fare passi falsi nè traballare. E non solo nel gusto.

@boria_a

sabato 14 gennaio 2017

IL LIBRO

E' un'Aurora di morte a Cipro


Victoria Hislop



Con “L’isola”, uscito in Italia nel 2007, ha riportato in vita il dimenticato lebbrosario di Spinalonga, attivo dal 1903 al 1957 davanti a Creta, intrecciando gli amori, la malattia, i segreti di tre generazioni di donne. Il libro ha venduto oltre due milioni di copie nel mondo, seguito da una serie girata dalla televisione privata greca Mega, che è stata la produzione più costosa mai realizzata nel paese e ha incollato allo schermo circa cinque milioni di spettatori a puntata. Ora l’inglese Victoria Hislop rilancia la formula che le ha portato fortuna e con “L’aurora”, l’ultimo romanzo appena uscito in Italia (ancora per Bompiani, pagg. 388), rilegge attraverso vicissitudini di famiglie, filtra nelle passioni e nei rancori di tanti personaggi, in una sorta di racconto corale, un capitolo di storia recente ma poco evocata.

Siamo a Famagosta, fiorente e vivace centro turistico nella parte orientale di Cipro, nei primi anni Settanta. Savvas Papacosta e sua moglie Aphroditi sono i proprietari dell’Aurora Palace, il più lussuoso hotel dell’isola, pieno di ricchi ospiti internazionali che rovesciano nelle loro tasche un fiume di denaro. I due non si sono sposati per amore, ma l’unione si regge su affari e interessi: lui pensa a irrobustire il patrimonio immobiliare ristrutturando nuovi alberghi, lei si divide tra cocktail e ricevimenti con i clienti, sfoggiando etti di diamanti e la solidità economica del marito.


Il mondo dell’«Aurora» è uno scrigno dorato e impermeabile, dove si fanno le ore piccole al night club Clair de Lune, gestito dall’affascinante e spregiudicato Markos Georgiou, braccio destro di Savvas, e gli echi delle tensioni politiche esterne giungono ovattati, camuffati. I nomi dei protagonisti testimoniano le loro radici etniche, esemplificano per il lettore le posizioni di ciascuno, man mano che i destini si aggrovigliano: Christos, fratello di Markos, è un militante dell’Eoka B, il movimento paramilitare e filogreco, mentre la parrucchiera dell’hotel, Emine Özkan, è di famiglia turco-cipriota, e uno dei suoi figli, Ali, influenzato dalle idee paterne, vorrebbe tornare a vivere nelle enclavi della comunità, dove non si sentirebbe circondato da nemici ellenici.

Savvas, Aphroditi e Markos dominano la prima parte del romanzo, che coincide con la stagione spensierata delle feste e della passione. Un triangolo sentimental-affaristico piuttosto prevedibile, dove è soprattutto il giovane gestore del club a sfruttare la situazione, lucrando sull’avidità di Savvas e sull’insoddisfazione della moglie. Il suo non è attaccamento sincero, nè all’uno nè all’altra, come non c’è niente di eroico o di ideale nel suo accettare la richiesta del fratello Christos di nascondere le armi dei nazionalisti nel caveau dell’albergo: l’interesse è il solo motore di Markos, una febbre di rivalsa sociale che lo porterà a tradire e a speculare sul dolore degli affetti più cari.


La situazione precipita il 20 luglio 1974, quando la Turchia invade l’isola in risposta al colpo di stato della Guardia nazionale cipriota, attuato con l’appoggio dell’Eoka-B e sotto il comando di ufficiali greci, che depone il presidente eletto Makarios. È allora che le due famiglie rimaste finora comprimarie, i greci Georgiou e il turchi Özkan, assumono un ruolo di primo piano nell’intreccio, realizzando nell’abbandonato Aurora Palace, in uno spettrale scenario di biancheria raffinata e argenteria, di tesori lasciati indietro dai fuggiaschi e di provviste faraoniche aggredite dai vermi, una enclave plurietnica di amicizia e solidarietà. Così sopravviveranno all’assedio dei turchi.



Il quartiere turistico fantasma di Varosha



 Destini speculari quelli dei Georgiou e degli Özkan, che alla guerra hanno sacrificato i figli e ora condividono una forzata intimità. Mentre Aphoroditi e Markos scoloriscono sullo sfondo, con le voci di padri, madri e giovani ribelli Hislop ci parla di deportazioni, fame, epurazioni, della spaccatura in due dell’isola. E l’«Aurora», cristallizzato nel suo sfarzo intatto, si staglia a paradigma della sorte del quartiere turistico di Varosha, quell'angolo di Famagosta svuotato, disertato e trasformato in zona militare, una città fantasma congelata nel tempo, ormai senza vita.

La storia delle due famiglie continuerà, ma all’estero. Il golpe ha generato profughi e migranti: la Linea Verde, che segna la divisione di Cipro, è una cesura esistenziale da cui non si tornerà più indietro.
Ecco il merito di Hislop: saper impastare con credibilità fiction e divulgazione. In questo nuovo romanzo il fascino, la compattezza narrativa e anche la vena morbosa che insaporiva “L’isola” sono lontani, ma va colto il suggerimento di riaprire una pagina di storia che può dirci ancora tanto sul nostro presente.

martedì 10 gennaio 2017

 IL PREMIO

A Michon, Broodbank, Gray e Dalla Ragione i Nonino 2017

 
Pierre Michon, 71 anni, Premio internazionale Nonino 2017



Un’archeologa della frutta, un archeologo del Mare Nostrum, un cesellatore della parola, un teorico del pensiero europeo. Filo conduttore del Premio Nonino 2017 è la “conservazione”. L’accudire con intelligenza i saperi tradizionali della terra o la musicalità della parola scritta, l’integrità del mondo classico come i valori dell’ambiente. È questo spirito a unire i destinatari dei quattro riconoscimenti che la famiglia di grappaioli friulani assegna ogni anno a protagonisti della cultura e del pensiero contemporaneo e a custodi della tradizioni e dei ritmi millenari della terra. Per il 2017, anno del quarantaduesimo Nonino, la giuria presieduta dal premio Nobel per la Letteratura 2001, V.S. Naipaul, ha scelto lo scrittore francese Pierre Michon, l’agronoma toscana Isabella Dalla Ragione, e due britannici, l’archeologo Cyprian Broodbank e il filosofo politico John Gray. I premi verranno consegnati nella consueta festa alle distillerie di Ronchi di Percoto, sabato 28 gennaio 2017 alle 11.

A Pierre Michon, 71 anni, è stato assegnato il Premio internazionale Nonino 2017. Il suo “Vite minuscole” (uscito in Italia per Adelphi nel 2016), pubblicato a trentasette anni dopo aver viaggiato per tutta la Francia al seguito di una piccola compagnia teatrale e senza un’occupazione stabile, è considerato un capolavoro della letteratura contemporanea francese, opera dove ogni parola è scelta con accuratezza estrema e l’insieme dà vita a una sorta di scrittura “orale”, musicale, in cui i critici rilevano l’influenza della poesia cantata dei trovatori medievali. Adelphi pubblicherà a breve “Les Onze”, che ha vinto nel 2009 il Grand Prix du Roman de l’Académie Française.


Premio Nonino 2017 è l’accademico Cyprian Broodbank, 52 anni, docente all’Università di Cambridge, la cui ricerca archeologica, storica e geografica, sulla storia del Mediterraneo, racconta in oltre seicento pagine, sostenute da uno stile accattivante, preistoria ed evoluzione del Mare Nostrum. Dalla nascita dell’agricoltura allo sviluppo di navigazione e metallurgia, dal sorgere dei miti arcaici alle suggestioni dell’arte e del pensiero, il testo di Broodbank apre squarci di modernità nelle remote relazioni tra i popoli mediterranei, fornendoci chiavi di lettura per indagare il nostro mondo globalizzato.



Cyprian Brookbank, Premio Nonino 2017


Nella “rosa” del Nonino entra anche il filosofo John Gray, 69 anni, già docente alla Oxford University e alla London School of Economics, che a Ronchi riceverà il riconoscimento a “Un maestro del nostro tempo”. Interprete della contemporaneità, Gray scardina nei suoi studi teorie consolidate del pensiero sociale e nella storia politica. Si è occupato del fallimento del mito del capitalismo globale e ha scritto su Al Qaeda e il significato della modernità, riuscendo a prevedere eventi quali la crisi economica del 2007 e l’avvento di governi populisti.



Il filosofo inglese John Gray, premio Nonino a "Un maestro del nostro tempo"


Va infine a Isabella Dalla Ragione, 59 anni, il Premio Nonino Risit d’Aur. “Archeologia Arborea” si chiama il frutteto-collezione che ha fondato nell’85 insieme al padre Livio, dove si studia e preserva la biodiversità vegetale, in particolare di antiche varietà locali di fruttiferi. Con lo stesso nome, la Fondazione nata nel 2014, cui partecipano l’Università di Perugia, Biodiversity International e Fao, si occupa di dare un futuro al patrimonio arboreo di colori, profumi e sapori salvati dall’estinzione. Pluripremiata per il suo impegno “verde” e tenace divulgatrice, Dalla Ragione ha appena completato un dottorato al Dipartimento di Biologia vegetale dell’Università di Perugia, la città dove risiede, con una tesi di ricerca storica e genetica su antiche varietà locali di pere. Il premio vuole essere uno stimolo a quanti oggi si prodigano per salvare le antiche mele del Friuli.



L'archeologa della frutta Isabella Dalla Ragione, Premio Nonino Risit d'Aur


La cerimonia del 28 gennaio segnerà l’avvio delle celebrazioni per i 120 anni delle distillerie Nonino, che innaffieranno anniversario e premiati con una grappa riserva, anch’essa opportunamente “conservata” in barrique e piccole botti per cinque anni.

@boria_a

lunedì 2 gennaio 2017

MODA & MODI

Lo sfizio del saldo superfluo 



 

Ripuliti in fretta e furia siti e giornali dagli sbrilluccichii di Capodanno, ecco avanzare la grande mestizia dei saldi. Il copione si ripete invariato da anni anche in rete, dove tutto sembra sempre nuovo, improvviso, appena accaduto, pop-up continuo di primizie e trend. E invece non c’è nulla di più monotono e prevedibile delle pagine a cavallo dell’anno vecchio che si congeda e del nuovo che entra: nello stesso layout, virtuale o cartaceo di riviste e giornali, si avvicendano, e in parte convivono, gli svampiti consigli sull’intimo color ciliegia e l’abitino di stagnola dorata della notte di San Silvestro e il massiccio e punitivo decalogo per affrontare le svendite in sicurezza.

Dopo l’insulso sfarfallio di paillettes e brillantini, la penitenza e la rinuncia. Dopo le più improbabili spese che ci vengono suggerite per il veglione, dovremmo zavorrare il portafoglio per evitare che risalga dal fondo della borsa e si apra con troppa facilità alla tentazione delle offerte.

Ecco dunque le tavole della legge per il saldo sano: solo negozi di fiducia, solo se i cartellini hanno tutte le percentuali al loro posto, solo se il ribasso non supera l’asticella di sicurezza, solo se abbiamo tenuto d’occhio l’andamento del prezzo del prodotto nei mesi precedenti l’acquisto, solo se siamo assolutamente certi che nulla sia stato gonfiato, artefatto, ritoccato. E, naturalmente, solo se è un capo o un accessorio destinato a durare ere geologiche, al contrario di quell’abituccio monospalla con volant uscito da Guerre stellari che l’1 gennaio abbiamo guardato come un alieno atterrato nell’armadio a nostra insaputa.


Saldo deve far rima obbligatoriamente con solido e stabile. Dev’essere solidale e sostenibile, ovvero abbastanza incolore da non farci sentire in colpa. Non bastassero i buoni propositi di inizio anno, siamo bombardati da proclami sulle svendite giudiziose. Acquisti utili e niente colpi di testa. Camicette, pantaloni, maglioncini abbinabili tra loro, senza età e identità, destinati ad ancorarsi al guardaroba a imperitura memoria del nostro buon senso. È già calcolato perfino quanto spenderemo, invito subliminale a evitare sforamenti di budget.
 

Eppure questi saldi li abbiamo aspettati così tanto. Abbiamo rimandato, valutato, temporeggiato. Abbiamo seguito quella borsa come un’azione in Borsa. Non ci meritiamo un risarcimento? Basta poco: facciamo equivalere dilazione a distrazione, a gratificazione. Lo sfizio ha uno straordinario potere rigenerante. In fondo, per il sacrificio del superfluo rimane tutto il resto dell’anno.
@boria_a