martedì 25 aprile 2017

MODA & MODI


Il signor Levi's e il lato B s-cernierabile






Qualcuno ha parlato di Grande Apocalisse del jeans. Definizione azzeccata, nel doppio senso: apocalisse come “rivelazione”, secondo le sacre scritture, e come “calamità”, nell’uso comune. Chissà se il signor Levi Strauss, che registrò il brevetto del pantalone per minatori nell’anno 1873, si rivolterà nella tomba a vedere che cosa hanno combinato gli eredi del suo leggendario marchio. Perchè il modello nel mirino, l’“High-Rise Distressed Jeans”, nasce da un accordo tra la Levi’s e il brand più in voga del momento, Vetements del georgiano Demna Gvasalia. Che cos’hanno di speciale questi nuovi jeans? Intanto due lunghissime cerniere, che, volendo, aprono il pantalone su entrambe le gambe, rendendolo molto più stuzzicante e modaiolo di un paio di semplici calzoni da tutti i giorni. E fin qui non ci sarebbe nulla di particolarmente spiazzante. In fondo, dopo oblò, sforbiciate, inserti di plastica, orli sfilacciati, vite alte e vite a filo di osso sacro, la nuova stagione del denim doveva pur proporre qualcosa di diverso. 

La sorpresa, però, è legata a un’altra cerniera, un prolungamento di quella ordinaria in tutti i jeans, che nel modello “High-Rise Distressed” arriva da una parte all’altra, tagliando in due il sedere lungo la linea delle natiche. L’immagine è esplicitata sul profilo Instagram ufficiale di Vetements, dove, a cerniera abbassata, si vede una bel gluteo tondeggiante, kardashianesco, che occhieggia dal pantalone. Molto più neutra, se non addirittura sbrigativa, la descrizione del prodotto sul sito dov’è in vendita, MyTheresa.com, che si limita a parlare di “zipped details at the front”, dettagli di “lampo” davanti, sorvolando sul non trascurabile particolare del derrière scernierato.

Chi ha dovuto mettere in fila qualche parola per descrivere questi jeans ha fatto grandi esercizi di contorsionismo. Vetements è amatissimo da giornalisti e influencer e il suo designer, Gvasalia, che è lo stesso di Balenciaga, è riuscito a propinare spalle quadrate, pantaloni con le ghette, fuseaux e magliette identiche a quelle di Dhl, senza che nessuno battesse ciglio. C’è da scommettere che anche questa volta gli influencer si sdilinquiranno. Ma dovranno abbassare un bel po’ la cerniera posteriore per convincere i loro follower a seguirli (come recitava la pubblicità dei provocatori Jesus, anno 1973), anche perchè questi jeans toccano i mille ottocento dollari. Zip incluse.








@boria_a

sabato 22 aprile 2017

IL LIBRO

Se la Austen prende casa a Torino centro






Torino non è il Devonshire. E due signorine di inizio Ottocento hanno poco in comune con le millennial, a cominciare dal modo (e il mezzo) con cui comunicare i propri sentimenti: per le prime una discretissima ma macchinosa faccenda di pennini, inchiostri e biglietti da recapitare, per le seconde un comodo e pubblicissimo clic sullo status di Facebook. La ricerca dell’amore, al contrario, e i percorsi del cuore non cambiamo affatto, nemmeno a duecento anni di distanza. Sono sempre tortuosi e pieni di imprevisti e battute d’arresto, anche se al tempo dei social è difficile mantenere alcunchè di clandestino, siano amanti o destinazioni geografiche.
Questo non significa che riscrivere un classico come “Ragione e sentimento” di Jane Austen sia un’operazione facile e che nel trasformare le pudibonde Elinor e Marianne nelle odierne Eleonora e Marianna, giovani donne sabaude cadute in disgrazia come le loro omologhe inglesi, non si corra il rischio del ridicolo. La scrittrice Stefania Bertola, autrice prolifica e di successo, ha deciso di provarci, facendo suo il progetto che in Gran Bretagna ha coinvolto sei autori contemporanei nella riscrittura di altrettanti capolavori della Austen, nell’anniversario dei duecento anni dalla nascita dell’autrice inglese.


È nato così “Ragione & Sentimento” (Einaudi, pagg. 223, euro 17,50) alla maniera di Bertola, un liberissimo, spumeggiante e divertente rifacimento di “Sense and Sensibility”. Dal modesto cottage di Barton, l’azione è trasferita in un alloggetto nel centro di Torino, dove la signora Cerrato, fresca vedova dell’avvocato Giorgio, è costretta a riparare insieme alle tre figlie - Eleonora e Marianna in età da marito, e l’adolescente Margherita - lasciando l’ampia villa in collina al legittimo erede, il figlio di primo letto del defunto, con moglie odiosa e viziato rampollo al seguito.



Stefania Bertola


Dal giorno alla notte le tre sorelle impoverite, nell’occhiuto e bisbigliante capoluogo piemontese, vengono allontanate dal giro delle “buone frequentazioni”. La saggia Eleonora, maestra, è l’unica a lavorare (un verbo “esotico” che la madre, renitente alla nuova condizione economica, pronuncia come se sputasse un nocciolo di ciliegia), mentre l’affascinante Marianna, che crede nell’amore assoluto e nella verginità, non può che tenersi occupata rastrellando cuori infranti e innamorandosi degli uomini sbagliati, ai quali, manco a dirsi, finirà per fare il dono supremo. Margherita, dal canto suo, lasciato il monacale collegio privato che affligge le signorine di buona famiglia dall’asilo alla maturità, verrà risucchiata nel sinistro mondo della scuola pubblica.





Naturale che nella versione “reloaded” del celebre romanzo scompaiano calessini e ciocche di capelli date in pegno, così come le caviglie slogate o le infreddature da passeggiata smettano di essere espedienti letterari per sistemare le protagoniste al centro dell’intreccio, generalmente nei salotti dove si concentrano le manovre per accasarle. Ma la trama, per quanto “asciugata”, rimane fedele all’originale. E il registro leggero di Bertola non è mai superficiale, nè l’ironia scade nell’irriverenza nei confronti della divina Austen.


Il libro inizia con il decesso dell’avvocato e si conclude con alcuni matrimoni, per arrivare ai quali, le ottocentesche ragazze Dashwood come le ragazze Cerrato 2.0 dovranno faticare non poco e superare diverse prove di compatibilità tra ragione e sentimento. E a complicare l’equazione ai giorni nostri entra pure il sesso, che rimane sospeso nei sospiri e nei subitanei deperimenti delle eroine della Austen, mentre per Eleonora e Marianna è faccenda tutt’altro che immaginaria, la cartina di tornasole dei loro diversi caratteri: la prima metterà a frutto un’esperienza con l’uomo sbagliato per avvicinarsi a quello realisticamente più giusto, mentre la seconda, tra pianti e sdilinquimenti vari, farà temporaneo voto di castità, prima che un solido e maturo partito (l’equivalente dell’originale colonnello Brandon) la riduca a meno drastici consigli.
Stefania Bertola - che ha firmato romanzi di successo come “Biscotti e sospetti” per Salani e Tea, “Il primo miracolo di George Harrison” e “Ragazze mancine” per Einaudi - regala un paio d’ore di intelligente divertimento. Con un merito: aver fatto riscoprire o scoprire a più di qualche lettrice il fascino senza tempo degli intrecci di Jane Austen. Che attraversano indenni i secoli, a prova di riletture e riscritture.

@boria_a

giovedì 20 aprile 2017

 LA MOSTRA

La gheba e l'usel, eros in Istria


La “gheba” e l’”usel” non lasciano molti dubbi interpretativi nell’area veneta e istriana. Cambierà qualche consonante o vocale a seconda delle zone e delle varianti dialettali, ma “gabbia” e “uccello” sono comuni metafore per indicare l’organo sessuale femminile e maschile. Poesie e canzoni popolari ne fanno un grande uso, come esplicito contenuto erotico o allusione maliziosa. Si gioca sul doppiosenso e sul filo dell’umorismo per dire a voce alta e in pubblico, quello che tra quattro mura di solito si tace o si bisbiglia.

 
Cartolina con messaggio amoroso, inizio XX secolo, Museo storico e navale dell'Istria



Più singolare è che questi termini facciano da traino a un progetto scientifico, messo in campo dal coordinamento tra i vari musei dell’Istria, un’esperienza di collaborazione unica nel suo genere, nata e sostenuta dalla Regione istriana. S’intitola proprio così, “La gheba e l’usel: coperto e svelato nella sessualità in Istria”, la mostra che aprirà il 27 aprile 2017, alle 20, nella Galleria Sacri Cuori a Pola. L’allestimento, curato dalle conservatrici museali T
ajana Ujčić  e Katarina Marić  e dal designer Mauricio Ferlin, è il frutto di tre anni di ricerca dei responsabili scientifici dei musei dell’Istria, con il coinvolgimento del Museo regionale di Capodistria, del Museo Marittimo di Pirano, e anche dei Musei civici di Trieste e del Museo archeologico di Aquileia.

Oltre cinquecento pezzi - amuleti, bassorilievi, dipinti, oggetti di uso quotidiano, immagini, opere di artisti istriani o che hanno lavorato nell’area - dalla preistoria ai giorni nostri, organizzati non cronologicamente ma per temi, mettono a fuoco il concetto di femminilità e mascolinità, l’eros e l’erotismo e raccontano il rapporto con sesso e seduzione da un punto di vista maschile e femminile in Istria.  Dal Museo Sartorio di Trieste arriveranno a Pola un Nudo femminile disteso e un "Ritratto di giovinetta" di Giambattista Lampi, dal Museo Schmidl "Marte e Venere", un olio su tela, dal Lapidario Tergestino un rilievo di Priapo e dai Civici Musei di Storia ed Arte un rilievo di sarcofaco con Arianna.




Karl Schrecker, Ragazza con velo di seta, fotografia, Anni Venti del XX secolo


«La “gheba” e l’”usel” - dice la conservatrice
Tajana Ujčić illustrando il titolo provocatorio scelto per il nuovo progetto - sono molto frequenti nelle cosiddette “taranke”, poesie popolari di contenuto erotico. La stessa metafora è presente anche nelle “botunade”, la versione italiana di questo tipo di poesie. Il sottotitolo è la spiegazione stessa della mostra: la parte “svelata”, più volgare, si manifesta attraverso l’ironia e l’umorismo, mentre l’amore e l’intimità sono celati, nascosti, ovvero coperti, così come lo sono nella simbologia degli oggetti esposti, nei racconti, nei proverbi, nella poesia e in particolar modo nella vita di ogni giorno».

Gheba, del resto, vuol dire gabbia ma anche intimità, nido, norme...  «La mostra - interviene Mauricio Ferlin - mette a confronto il modo di fare inibito e impacciato e quello disinvolto e allegro, entrambi presenti nel carattere e nella mentalità dell’istriano. L’allestimento - precisa - è introdotto da due pensieri: “Gli uomini (sono convinti) di tenere le cose nelle proprie mani” e “Le donne (sono convinte) di tenere le redini nelle proprie mani”». Un gioco leggero tra i concetti di possesso e potere che può fare da filo conduttore anche nel percorso tra opere e oggetti in esposizione. Che poi - ricorda Katarina Marić - tutto il mondo è paese quando si analizzano le metafore sessuali nelle canzoni popolari. «Ponendoci il problema della traduzione dei materiali della mostra - racconta - abbiamo trovato una canzone erotica inglese che s’intitola “The bird and the bush” (l’uccello e il cespuglio), un equivalente dei nostri “usel” e “gheba”».


Satiro Itifallico, framento in calcare, Museo Archeologico dell'Istria


Non è la prima volta che un’iniziativa espositiva nasce dalla collaborazione tra i musei del territorio. La mostra “
Ki sit ki lačan” (chi sgionfò, chi afamà), sull’alimentazione in Istria, realizzata nel 2012, assieme al Museo archeologico di Pola, ha ottenuto il riconoscimento di Miglior progetto espositivo dell’anno, conferito dall’Associazione dei Musei croati. Proprio questa rassegna ha inaugurato il nuovo ambiente museale nella chiesa sconsacrata dei Sacri Cuori, uno dei più attraenti del paese, che ha contribuito al successo di pubblico della mostra.



Alois Orel, Atto feminile , fotografia, 1960 circa, propr. Aleksej Orel


«È bello lavorare quando si ha a disposizione il supporto di tutti i musei dell’Istria, un notevole patrimonio espositivo, collaboratori qualificati e un tema intrigante - ha commentato  Katarina Marić  - anche se l’allestimento è stato abbastanza estenuante. Siamo tutti e tre istriani, nel nostro codice genetico c’è il “coperto” e lo “svelato” quando si parla di amore e sessualità. Avevamo dunque ben chiaro il contesto, la cornice per gli oggetti che volevamo esporre e ci siamo impegnati al massimo per trasmetterlo al pubblico».
La mostra resterà aperta fino al 31 ottobre 2017.